Metallica – Recensioni Personali

La seguente e’una discografia dei Metallica contenente le recensioni di tutti gli album della band di Lars Ulrich e James Hetfield:

Kill ‘em all (1983)

Disco di debutto della band Californiana, che doveva intitolare questo lavoro “Metal up your ass”, e che avrebbe dovuto conferire ad esso una singolare copertina ritraente un pugno che fuoriesce da un cesso. Il tutto sostituito da un titolo banale ma diretto come “Kill ‘em all”, il quale non fa che riportare la rabbia espressa dalla band nelle sue dieci canzoni (nove song + la strumentale “Pulling teeth”, leggendario bass solo di Cliff Burton), dove viene espresso un thrash metal immaturo e debitore del sound della N.w.o.b.h.m. , grazie ad un songwriting ispirato a bands del calibro di Discharge o Diamond head. Individuare delle perle in questo lavoro significherebbe elencare un po’tutte le canzoni, a partire dalla furiosa opener “Hit the lights”, quindi passando per capolavori come “The four horsemen” o “Seek & Destroy”. Enormemente sottovalutata “Phantom lord”, brano dove fuoriesce tutta l’aggressivita’ di Hetfield, sguaiato quanto efficace nel suo stile, allora per nulla tecnico ma azzeccatissimo. Ottimo il lavoro al basso di Burton, il cui prodotto si erige per tutta la durata del disco sulle chitarre, queste ultime dal suono monocorde ma tagliente come una lama. Presenti anche l’anthemica “Metal militia”, ‘enclosure’ del disco, e la cattivissima “Whiplash”. Disco fondamentale, specie se non consideriamo l’importanza ed il peso che ha avuto sulla scena metal, ma indubbiamente non il migliore dei Metallica.

Ride the lightning (1984)

Fondamentale, in quanto “Ride the lightning” si puo’considerare un po’come l’album della svolta stilistica della band. Qui, infatti, il sound si puo’considerare a tutti gli effetti thrash, ed include tutti gli ingredienti del mix musicale attuato da tante band nella Bay Area ottantiana. Le chitarre sono cambiatissime, ed ora puntano su un settaggio che le rende piu’oscure e meno monocorde. Cavalcate e mid tempos granitiche si susseguono in un disco che non ha grossi punti deboli. L’opener “Fight fire with fire”, introdotta dal suo arpeggio poi rotto bruscamente dai riffs rabbiosi delle due ‘asce’ Hetfield/Hammett (quest ultimo ex chitarrista deggli Exodus, mentre il primo militava nei singolari Spastic children), e’solo il preludio ad uno dei piu’grandi dischi dei Four Horsemen e della scena thrash ottantiana in generale. Bella la lunga title track, dove va sottolineato l’ottimo refrain. Si prosegue con perle del calibro di “For whom the bell tolls”; la canzone piu’oscura dei Metallica, mid tempo veramente ottima, e con “Fade to black”, una delle loro produzioni piu’celebri per quanto riguarda il primo periodo, col suo intercedere fra una prima parte che la fa corrispondere come semi-ballad, e con il finale oscuro e corredato da un ottimo lavoro solistico. Il disco non da’tregue, prima con la cattivissima ed imponente “Trapped under ice”, quindi con “Escape”, i due pezzi meno di rilievo del disco, non per questo di basso livello qualitativo. La conclusione avviene nel migliore dei modi, con i capolavori “Creeping death”, ancora oggi presente nelle scalette dei loro concerti (memorabile l’esecuzione in apertura del loro famosissimo concerto a Donington…), e “The call of Chtulhu”, brano strumentale che mette la pietra finale su di un lavoro quasi perfetto.

Master of puppets (1986)

E’il 1986, l’anno dei grandi capolavori, e “Master of puppets” si contende senza dubbi il trono con uno degli altri masterpieces usciti in quella gloriosa annata: “Reign in blood” (Slayer). Immenso capolavoro del thrash metal, “Master of puppets” vanta di una produzione lievemente migliorata rispetto al precedente “Ride the lightning”, ed imperniata su di un’accordatura leggermente piu’alta delle chitarra. Tuttavia, i ritmi aumentano, e la qualita’ delle song anche. “Battery”, opener del terzo lavoro del quartetto americano, e’un immenso capolavoro, nonche’una delle song piu’aggressive dei Metallica. Segue la title track, brano che suppongo un po’tutti i metallari abbiano canticchiato almeno una volta. Avente un testo basato sul tema della droga, “Master of puppets” e’considerata da molti una delle migliori song del quartetto, grazie al suo irresistibile riff di base ed al suo break centrale, dove il rallentamento generale del pezzo offre all’ascoltatore riffs magnifici. La seguente “The things that should not be”, pezzo le cui liriche sono riferite a H.P. Lovecraft, e’uno dei pezzi piu’anomali dei Metallica: chiusa, indiretta, richiede almeno una ventina di ascolti per essere capita a pieno. “Welcome home (Sanitarium)” e’un altro capolavoro: equivalente di “Fade to black”, in quanto a struttura, “Welcome home” e’ il pezzo lento del disco, irresistibile…anche in sede Live. La seconda parte del disco si apre con “Disposable heroes”, che reputo il pezzo piu’sottovalutato della band di San Francisco, il quale lascia spazio a “Leper messiah”, altro capolavoro, grazie al suo riffing granitico ed al suo testo intricato e provocatorio. La strumentale “Orion” e’un altro ‘documento’ rivolto alla grandezza compositiva ed esecutiva del bassista Cliff Burton, che morira’ in un incidente stradale accaduto durante il tour di supporto al disco, proprio sul tour della band. Il disco si chiude con “Damage inc.”, forse il pezzo piu’veloce ed aggressivo della band, un autentico trionfo del thrash metal. Impossibile non avere questo album.

…and justice for all (1988)

“…and justice for all” e’il disco piu’tecnico dei Metallica. Importante per l’ingresso in formazione di Jason Newsted, questo lavoro e’per molti la migliore composizione della band americana, proprio grazie alle sue composizioni articolate ed indirette, che ad un primo impatto con la critica avevano visto l’album irrimediabilmente sottovalutato e bistrattato. “Blackened” apre il disco, con la solita formula dei precedenti lavori: avvio lento ed oscuro, quindi esplosione in un riffing thrash maledettamente veloce ed aggressivo. La successiva song, sempre seguendo la formula strutturale dei precedenti dischi, e’la title track, brano di quasi dieci minuti da molti sottovalutato ed avente una quantita’ di riffs inseriti da spavento. La successiva “Eye of the beholder” e’un brano tutto da capire, che probabilmente avra’inizialmente fatto storcere il naso a molti in avvio, ma indubbiamente un ottimo pezzo alla distanza. “One” chiude la prima parte del disco: immenso capolavoro, a mio giudizio la migliore song dei Metallica di tutti i tempi…avente la stessa formula di pezzi come “Fade to black”, ovvero quella che prevede la prima meta’ (due strofe) in semi ballad e con ritornello aggressivo, per poi lasciare spazio al finale maggiormente veloce ed incisivo, questa song meriterebbe da sola una recensione. Trionfo del thrash tecnico. E quanto appena affermato continua, con le successive canzoni: “The shortest straw”, ottima per l’incisivita’chitarristica, quindi “Harvester of sorrow”, altra pedina fondamentale della carriera dei Metallica, infine la strumentale “To live is to die”, eccessivamente prolissa nei suoi nove minuti e quarantotto secondi di durata, dove spicca la narrazione di Cliff Burton (ovviamente presa da una passata registrazione). Chiude il disco “Dyers eve”, per la quale potrei dire quanto affermato per “Damage inc.”, ovvero che si tratta di una perla di aggressivita’, dove il lavoro di Hammett ed Hetfield alle chitarre rende il tutto compattissimo ed incisivo.

Metallica (1991)

Ecco l’avvio al declino. I Metallica, con questo lavoro (definito “Black album” per l’assenza di un titolo precisato, e per la copertina, interamente nera, e raffigurante un’icona militare come sfondo), hanno riscosso il maggior numero di vendite, grazie alla minimalizzazione del riffing, che ha reso le song tutte quante vicine alla forma canzone, ed imperniate piu’sui ritornelli che sulle intricate trame thrasheggianti dei precedenti lavori. Tuttavia, “Enter sandman”, “Sad but true” e le ballad “Nothing else matters” e “The unforgiven” sono considerate pietre miliari della band Californiana. A mio parere, le song dove la band riesce a dare il meglio, sono “Of wolf and man” e “The struggle within”, oltre all’accattivante “Through the never”, ovvero i pezzi meno presi in considerazione dalle masse. Disco controverso quanto diretto, il giudizio puo’variare dal “capolavoro”, se ne osserviamo la rapida presa sul pubblico, fino al parlare di questo disco in termini di immenso flop, tonfo coordinato parallelamente al declino metal avvenuto in avvio agli anni ’90 (non dimentichiamo capolavori come “Rust in peace” dei Megadeth o “Time does not heal” dei Dark angel, per rimanere in termini di thrash). Da sottolineare il netto cambio di stile nel cantato di James Hetfield, passato dallo stilema cupo e malvagio di “and justice for all” ad una forma piu’diretta ed easy listening. Sconsigliato a chi ammira di per se’ il vecchio stile proposto dal quartetto di San Francisco, consigliatissimo a chi preferisce song dirette e, diciamolo, piu’commerciali. In questo caso, potreste considerarlo uno dei piu’grandi dischi metal di tutti i tempi. Il contrario di quanto penso io…

Load (1996)

Il definitivo incammino sulla via del declino, per i piu’. Anche se, a mio parere, il processo di allontanamento dal metal e’coinciso con l’assunzione di Bob Rock al mixaggio, ovvero si tratta di una cosa risalente a ben cinque anni prima, col “Black album”.Il sound della band segnala un netto cambio di direzione, e vede i quattro ora alle prese con un hard rock semplice e nettamente commerciale. “Ain’t my bitch”, aperta da un avvio aggressivo, sfocia poi in un minimalismo dove non riconosciamo piu’la band: sparite le cavalcate, sparito definitivamente il cantato aggressivo di James Hetfield (cosa gia’avvenuta sul precedente “Metallica”), ora limitato a pochi spunti di rilievo come avviene su “Until it sleeps”, e sparita nettamente ogni parte intricata o particolarmente veloce. “King nothing” e “The house that Jack built” rappresentano altri due pezzi easy listening, e riscuoteranno di li’a poco un largo successo, al contrario del responso generale dato al disco dalle vendite, di colpo scese rispetto a quanto avvenne nel 1991 con il Black album. Ridicoli pezzi come “Mama said” (prolissa ballad orientata su lidi semi-country) o “Ronnie”. Si salvano, invece, l’aggressiva “Wasting of hate” (che comunque non vale un decimo di un pezzo preso a caso dai primi quattro dischi) e la bellissima “Hero of the day”, unica perla del disco intero. Da evitare…solo per i fan legatissimi alla band.

ReLoad (1997)

Album composto da materiale contemporaneo a quello scritto per “Load”. A detta di molti, disco contenente proprio gli scarti di “Load”…Indubbiamente il peggiore tassello della band Californiana, e presentato come un disco di altissimo valore da Ulrich, “ReLoad” ha navigato sull’onda dei lanciatissimi singoli “The memory remains”, “Fuel” e “The unforgiven”. Il primo, un anomalo pezzo in cui si stenta anche a riconoscere la band se confrontata con l’hard rock del precedente disco (figuriamoci se mettiamo di mezzo il thrash degli esordi…); il secondo, seguito dell’omonima track contenuta nel “Black album”, ed indubbiamente il migliore episodio del disco intero; il terzo, pezzo hard rock aggressivo, comparabile con “Wasting my hate” o “Ain’t my bitch”…detto questo, posso concludere, vista la pressoche’totale inutilita’ e la brutale mancanza di ispirazione, fattori emergenti dalle altre rimanenti song del disco. “Bad seed” e’forse l’unica salvabile, per un totale di oltre settanta minuti di noia totale. Incredibile tonfo di una band che un tempo produsse alcuni dei dischi piu’belli mai partoriti ne metal.

Garage inc. (1998)

Per alcuni, un felice rimando al passato della band; per altri, un’ulteriore mossa commerciale atta a “succhiare” altri soldi agli ormai rasi al suolo fan dei Metallica. Basato su un totale di due dischi: il primo, contiene tracce registrate a seguito del tour di “ReLoad”, tra cui segnalo il bellissimo medley di cover riguardante i Mercyful fate; il secondo, avente al suo interno il mitico “Garage days re-visited” piu’ alcune cover registrate in un periodo successivo, fra le quali spiccano le bellissime esecuzioni di alcuni pezzi dei Motorhead. Perle del disco, sebbene improprie, “Am I evil”, “The wait” e “Blitzkrieg”, dal secondo ed indubbiamente superiore cd, e la bellissima “Astronomy”, dal primo. Non mancano le spudorate mosse commerciali, come l’esecuzione di songs come “Whiskey in the Jar” o “Turn the page”, entrambe poi fatte singolo. Non fondamentale, ma sicuramente una ventata di aria fresca per chi e’stato devastato dalla bassezza artistica espressa negli ultimi anni.

S&M (1999)

Dopo l’ascolto di questo disco ero totalmente diviso sull’idea da farsi a riguardo. “S&M”, Live registrato assieme all’orchestra sinfonica locale (San Francisco), da una parte propone pezzi come “For whom the bell tolls” e “The call of Chtulhu” totalmente rafforzati dalla presenza degli elementi sinfonici, che si amalgamano alla perfezione con il metal espresso dalla band, dall’altra songs come “Master of puppets” o “Battery” sono state brutalizzate, spolpate, private della loro potenza, rase al suolo, rese praticamente irriconoscibili solo per il gusto di inserire qualcosa di vecchio in scaletta. Ottime anche le re-edizioni di “Until it sleeps” e la presenza dell’intro, tratta da una composizione del nostro Ennio Morricone. Il resto fa solo presenza…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarĂ  pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *