Xasthur – Nocturnal poisoning

In un periodo in cui il Black Metal sta varcando – nel bene e nel male – limiti a cui pochi anni fa non poteva neppure lontanamente ambire, giunge al varco del secondo full lenght una formazione americana, quella degli Xasthur, ridottasi col tempo allo status di one-man band. Colui che la capitaneggiava e che oramai solo la rappresenta è identificabile in Malefic, unico fautore del progetto nel lontano 1995, nonchè musicista dai concetti compositivi talmente estremi da potersi permettere di stabilire un sound così anomalo, indefinibile. Ciò che sorprende ancor più è la sua origine, gli Stati Uniti d’America, nazione in tal senso mai capace di esporre formazioni Black Metal capaci di affermarsi ad alti livelli, e da sempre indirizzata sul mantenimento dell’Underground. Ma veniamo ai fatti: “Nocturnal poisoning” è il secondo canto di battaglia effettivo di una discografia che annovera oramai ben cinque produzioni fra split, demo ed ellepì, prosegue il discorso avviato nel 2001 con l’oramai introvabile “A gate through bloodstained mirrors”, e propone un Black Metal di cui sminuirei la particolarità delle coordinate se lo definissi solamente come anomalo. La durata dei pezzi raggiunge e varca il quarto d’ora in occasione della magnifica title-track del disco, e si mantiene piuttosto elevata in quasi tutte le occasioni; Malefic insiste su di un songwriting ostico a base di un Black Metal minimale nell’uso di chitarre e batteria, ma impreziosito da linee di tastiera decadenti, criptiche, mai votate all’esaltazione della melodia, e ben coadiuvate dal contesto sonoro imbastito nell’occasione. La lentezza si fa audace e ipnotica in pezzi come “In the hate of battle” e “Nocturnal poisoning”, non lascia spazio nè respiro a repentini cambi di tempo, rimembrando per certi aspetti l’operato di Burzum (era “Hvys Lyset Tar Oss”) e dei Graveland più minimali ed oltranzisti, entrambi ben rappresentati, ad esempio, dall’incedere pachidermico e funereo dell’ottima “A walk beyond utter blackness”, pezzo – questo – che segue a ruota la feroce “Legion of sin and necromancy”. Un disco che non rialza da solo un’annata – quella da poco terminata – assai poco felice per il Black Metal, ma che punta i riflettori su un nome, quello degli Xasthur, sul quale si spera presto qualcuno possa metter mano per portarlo a livelli di promozione e visibilità degni. Malefic ha tuttavia molto da affinare: alcuni pezzi non scorrono assolutamente e vengono graffiati dalla loro stessa eccessiva lunghezza, da fasi prolisse che incantano ma che perdono spessore col passare di lunghi e piatti minuti. Non siamo dunque ai livelli propositivi dei vecchi lavori del Conte, ma in alcuni momenti il solito alone di mistero e magia che ne pervadeva le composizioni è avvertibile. Una promessa su cui scommettere per il futuro, a patto che qualcuno se ne accorga.