Secondo capitolo discografico per gli spagnoli User Ne, che amano definire il proprio sound come “epic folk pagan metal”. Etichetta che sta stretta alla band, come d’altronde starebbe qualsiasi altra. Mi spiego: ci troviamo di fronte ad un lavoro intelligente e molto personale, denso di velleità avanguardistiche ed estremamente ricco di fronzoli di ogni sorta. Una resa complessiva che può essere accostata solo a lavori eclettici e poliedrici quali “In harmonia universali” (Solefald), “Visions from the spiral generator” (Vintersorg), e “666: theatre bizzarre” (Misanthrope). La band vanta infatti una vis compositiva libera e disinibita, che si concretizza in una solida impalcatura fatta di riff heavy metal rocciosi e potenti e drumming cavalcante, sopra cui si staglia un marasma frenetico di strumenti tradizionali (il flauto su tutti), chitarre acustiche al suon di flamenco, ritmi arabeggianti e nenie femminili. Un mix intrigante di odori e sapori mediterraneo-islamici (la storia insegna?) per un risultato “solare”. C’è da dire però che dopo un incipit attraente quanto affascinante (ottime “Viola dobozy” e “Tras el IV caos”), il disco va spegnendosi un po’, pena l’effetto noia. Colpevole anche la continua intromissione tra una traccia e l’altra di break acustici strumentali (sette brani su tredici sono intro), che alla lunga, invece di dar fiato all’ascoltatore, minano la freschezza e la godibilità del platter. Consiglio comunque l’acquisto agli amanti dei frutti ibridi (ossia ai possessori dei dischi di cui sopra), che potrebbero anche perdere la testa per “Tarantos”.