Type 0 Negative – Life is killing me

Dopo un’attesa durata ben quattro anni, i quattro “negativi” di Brooklin danno alle stampe il successore di “World coming down”. Il titolo quanto mai allegro “Life is killing me” non lasciava presagire novità di sorta all’interno del sound della band, e invece devo dire che la mia reazione al primo ascolto del disco è stata un controverso mix tra stupore e disappunto. Pietra dello scandalo è stata la prima (dopo il sabbathiano intro “Uncle Freddy died?”) song “I don’t wanna be me”, costruita su un ritornello quasi punk e su melodie molto “happy”, quanto meno insospettabili per un gruppo dalla fama nera come i TON. Stesso discorso vale in particolare per “I like goils”, “Angry inch”, meno per la title track, ma in generale un po’ per tutto il disco. Non che “Life is killing me” sia un album allegro e spensierato, ma è innegabile che l’atmosfera che pervade il disco sia molto più leggera e distesa rispetto a quella mortifera e soffocante che si respirava in dischi maledetti quali “Bloody kisses” e “October Rust”, o anche nel più recente “World coming down”. Quel che differenzia il sound dei TON del 2003 è a mio parere il notevole potenziamento del ruolo delle chitarre nell’economia delle canzoni, che spesso sono introdotte e sostenute da riff dalla consueta pesantezza sabbathiana, ma anche dal retrogusto doom-rock tipico dei migliori Cathedral (“How could she?”, “The dream is dead”, “Todd’s ship Gods”); influenze da sempre presenti nel sound dei TON, ma mai così esplicitamente. Se tale feeling più disteso mi aveva in un primo momento sconcertato, devo dire che “Life is killing me” è cresciuto ascolto dopo ascolto in maniera esponenziale: consiglio dunque di non scoraggiarvi al primo approccio, ma di pazientare e concedere al disco i molteplici e attenti ascolti di cui ha bisogno per svelare le sue delicate sfumature emozionali. Solo così riuscirete a lasciarvi incantare dalla commovente “Nettie” (un brano stupendo, scritto da Pete Steele per la madre morente) o a cadere nella stretta soffocante di “Anesthesia”, per continuare con le note rilassate, ma sempre malinconiche di “The dream is dead” e “Less than zero”, forte quest’ultima di un refrain centrale da brivido. Assodato che quelli citati sono i brani migliori del disco, bisogna dire che il livello medio delle restanti song è poco più che discreto, e in ogni caso non all’altezza delle precedenti produzioni della band. Colpevole è anche quella vena “cathedralesca” che a tratti si rivela insidiosa stonando con la morbosa malinconia tipica del TON sound, e che spesso si concretizza in bruschi cambi di umore, che fanno crollare di colpo la tensione emotiva tanto abilmente tessuta fino a quel momento. Mi riferisco ad esempio alla citata “Less than zero”, il cui picco emotivo viene brutalmente interrotto da un riff di matrice Cathedral – Black Sabbath, carino sì, ma completamente fuori tema. E così canzoni come “Life is killing me”, “Todd’s ship gods”, “…A dish better served coldly”, “How could she?”sono belle sì (alcune anche molto), ma non abbastanza da tenere ai vertici il livello del disco. Sia chiaro che l’acquisto è d’obbligo per ogni fan dei TON, e stavolta anzi, a differenza dei precedenti lavori, lo consiglierei anche ai non patiti del gruppo, perché “Life is killing me” è più ascoltabile e accessibile (per quanto tali termini restino sempre poco calzanti) per un “profano” di quanto non lo sia ad esempio un “Bloody kisses”. Insomma, questo non è il nuovo masterpiece dei TON, ma è lo stesso un buon disco, che ci restituisce una band in pieno vigore e ancora capace di regalare grandi emozioni. I brani migliori (di cui sopra) meriterebbero un bel 9, ma purtroppo il voto deve tener conto anche degli episodi meno riusciti…