Twilight Zone – Steel alive

Dei Twilight Zone si potrebbe dire di tutto e di più. A partire dall’esperienza decennale che ormai il combo, nato dalle ceneri degli Stigma, può vantare, sino ad arrivare ad avvenimenti che, nel corso dei Nineties, hanno sconvolto a più riprese lo status vitae del quartetto toscano sino a portarlo allo scioglimento. E se la band fu messa knocked out fra il 1996 ed il 1997, non possiamo di certo rimproverare ai Twilight Zone un’attività ed un impegno scarsamente costante per ciò che concerne i tempi più recenti: l’ensemble, capitanato dalla ‘penna’ della rivista “Flash” Stefano Giusti, fa perno su di un Power Metal d’impatto totalmente a sè stante dalle sonorità sinfonico-epiche tanto in voga al momento, adotta un chitarrismo che in maniera frequente strizza evidenti occhiate di riguardo nei confronti del Power melodico teutonico, e mette in evidenza un singing style – quello del succitato Stefano Giusti – scevro dalla tentazione da parte delle eccessive incursioni sui toni alti verso i quali la maggioranza dei vocalist attivi in campo Power, francamente, nutre una fede quasi parossistica. I quattro espongono una evidente passione per l’ Heavy Metal che, seppur posta fra le righe, dimostra quanto i Twilight Zone siano appassionati dal metallo di stampo classico tour court: “I don’t exist” si propone come il momento più riflessivo ed emozionale di “Steel alive”, che pur essendo una registrazione Live tenutasi nei dintorni di Pisa nel corso del 2000 e coadiuvata dall’ ottimo apporto offerto dalla produzione di Stefano Rossi (membro dei Thrashers toscani Tossic, ove milita anche l’attuale drummer dei Death SS Anton Chaney), ha nei suoni un Tallone d’Achille meno evidente rispetto a quanto solitamente si riscontra nel caso della stramaggioranza delle esibizioni Live underground. I problemi, tuttavia, non sono inesistenti: “What twilight means” è diretta e travolgente, ma propone anche gli unici effettivi cali di tono della voce di Giusti, qui in netta difficoltà sul refrain a dispetto di ciò che avviene sulla conclusiva “Creeping in the dust”, episodio violento ed atipico nonostante l’eccessiva graniticità compositiva offerta dai Twilight Zone. Una band, questa, da rivedere e da rivalutare in occasione di una registrazione in studio, dove le qualità dei singoli avrebbero maggiore importanza grazie al suono che il ‘digitale’ può offrire, e dove verrebbe definitivamente alla luce la qualità dei quattro pezzi qui insiti. Una buona testimonianza del valore di Stefano Giusti e soci, ma il mio giudizio definitivo è rimandato all’ ascolto di materiale proveniente da un’altra sede.