Tristania – Ashes

Dopo ben quasi quattro anni di attesa (il precedente World Of Glass uscì nel 2001), ecco pubblicato l’ ultimissimo lavoro dei Tristania: Ashes… e la mia prima reazione è stata quella di pensare tra me e me “Tutto qui?!?!?!?!?!?!”. In realtà quest’ ultima fatica dei norvegesi offre tantissimi spunti di riflessione e altrettanti percorsi mentali per arrivare infine alla conclusione a cui si era arrivati prima senza troppi sofismi: “Ma è tutto qui????”. Perchè in prima analisi Ashes è moscio, moscio e ancora moscio… e in ultima analisi rappresenta bene lo stato del cosiddetto gothic metal odierno: inconsistente, inutile, scontato e in completa crisi di idee. Da una band come i Tristania insomma mi aspetterei qualcosa di più di classe. Prima riflessione: Morten Veland se ne andò prima di World Of Glass, e fu una grande perdita, nonostante questo però “WoG” aveva buone idee ed era un compromesso quasi sperimentale tra le varie personalità che costituivano la band superstite e le sue capacità… Ciascuno cercava di fare bene la propria parte per reggere la baracca, un collettivo insomma… il growler, il baritono e la soprano (un film western, in pratica), e alla fine il dischetto risultava decisamente gradevole, dotato di un’ aura riflessiva, quasi contemplativa, in attesa, ma comunque vibrante. In Ashes la baracca ormai non la sa reggere più nessuno, povertà assoluta di idee, riciclaggio continuo del solito cosiddetto gothic metal e autoriciclaggio di idee (alcune canzoni richiamano palesemente il primo loro demo e il loro primo EP del ’97). Veland almeno una cultura musicale di stampo rock ce l’ aveva, e secondo me anche abbastanza vasta: acchiappava idee dappertutto, ma le riproponeva bene, e le melodie vincenti le sapeva inventare, e inoltre i suoi pezzi erano combattivi, colpivano, mordevano, lottavano, eppure sapevano essere eleganti e poetici. I pezzi di Ashes invece sono remissivi, battono in ritirata, puntano molto sul canovaccio depressive-gothic metallaro di facile presa che francamente ha stufato: il fenomeno gothic metal si è decisamente sgonfiato, ora è stato saturato, assorbito, riproposto da miriadi di band tutte uguali e desiderose di fare i “metallari sensibili e oscuri”, e di proporre la propria cantante lirica. Ora il gothic metal è moda, fashion (ovviamente nell’ ambito alternativo) e in varie salse (salsa Evanescence o quella dei Lacuna Coil vestiti da preti) su MTV. Ma al di fuori dello scaffale del commerciante di cd, la classe dove sta? Dove sta il vecchio ideale rock di ‘proporre la canzone perfetta’ (concetto che negli anni ’90 e 2000 NESSUNO si ricorda)? L’ opener Libre ad esempio come canzone sembra un cagnolino che cerca di ruggire: innocuo, insulso, si sforza su un growl moscetto e su un motivetto che non dice nulla e scorre via, rimane solo un povero growler che si affanna inutilmente e sbraita. Idem la seguente Equilibrium… costruzione armonica delle chitarre, canzoncina pallosa che viaggia quasi con un incedere lassista, melodia zero… giusto la cara Vibeke che accompagna con la voce (nemmeno tanto impostata, un po’ come nel primo EP, insomma… e questa è una scelta che mi può anche andar bene, almeno non cerca di fare la solita stereotipata cantante lirica prestata al goth-metal) e riesce a rendere un po’ etereo il pezzo. Noia assoluta, comunque. La terza traccia The Wretched è quasi progressiva, inizia con un gran lavoro di ritmiche e rullante, un po’ di tastierina e chitarra, per poi infilarsi in un tentativo di groove quasi doom… ne segue la seconda riflessione: il cosiddetto gothic metal vive solo di ondate di contaminazioni per evitare la sua fisiologica saturazione… se poi non sa più dove pescare, muore e genera noia. Cure: lentone alla Cease To Exist, chitarra e voce femminile, caruccia ma niente di nuovo. Circus non ne parliamo, solito mattone; Shadowman cerca di essere originale ricopiando lo stilema del Gothic di ripetizione della nota sulla chitarra per costruire un lento d’ atmosfera un po’ ossianica e introspettiva, a tratti epica… non male, però rimane un pezzo che al di là della propria dolcezza non offre nulla di più. Chiude Endogenesis, altra mattonata evil-introspettive-gothic metallara. In conclusione ci ritroviamo davanti un disco che per la maggior parte è lento, moscio, costruito su arpeggi di chitarra con un tocco di pianoforte (tecnicamente ineccepibili), basso ovviamente assente, vocine flebili, “buono per i gothic-metallari che vogliono un accompagnamento ai propri riti magici quotidiani” (questa frase andrebbe scritta su un adesivo da appiccicare alla confezione del cd), di una misantropica dolcezza molto riflessiva e isolazionista, ma oltre a questo nulla di memorabile . “Tutto qui???”, mi viene ancora da chiedermi. Vorrei solo qualcosa da poter ricordare, da poter cantare, che mi strappi un’ emozione, non qualcosa con cui teneramente annoiarmi dondolandomi su una sedia con la boccuccia semiaperta in totale apatia. Questo è tutto!