Threshold – Subsurface

Un gradito ritorno, quello dei qui presenti Threshold, a sottolineare la florida e mai doma vena creativa del prog britannico, una vena che ha già fornito prova di freschezza grazie all’eccellente fatica degli IQ, già recensita in questa sede. Al sesto album in studio la compagine di Karl Groom e soci dimostra un’esperienza notevole, arricchita dal talento del nuovo innesto, il bassista Steve Anderson e condita da una produzione azzeccata, che contribuisce non poco alla resa finale. Subsurface sin dal primo ascolto riesce a catturare l’attenzione, dote rara visto il genere proposto, forte anche di un feeling che rimanda principalmente agli anni 80, grazie soprattutto alle tastiere di Richard West e ad alcuni effetti elettronici, oltre a ritornelli dall’impatto immediato che difficilmente abbandonano la testa. Il punto di forza del disco è la già menzionata atmosfera, un perfetto mix tra retrò (le tastiere, alcuni cori) e moderno (i riff), che sostiene anche gli episodi a mio modo di vedere meno riusciti come la seconda traccia, Ground Control, che vestita degli abiti già detti riesce comunque a farsi valere; in fin dei conti però le canzoni proposte sono per la maggior parte delle piccole perle, e anche se i Threshold non toccano le quote raggiunte in passato, Subsurface si colloca tranquillamente tra i vertici della discografia della band. Il disco si apre con l’ottima Mission Profile, scaricabile dal sito internet della band (www.thresh.net) che sottolinea sin dal principio il mix già descritto, che col suo refrain entra immediatamente nelle orecchie e difficilmente se ne allontana; già menzionata la seconda fatica, si raggiunge il buon uno-due servito da Opium e Stop Dead, quest’ultima leggermente meno efficace della terza traccia, ma è con The Art of Reason che i Threshold si impongono. Eccellente la prestazione del buon Mac al microfono; il vocalist sfoggia un’ugola leggermente roca sugli acuti e senz’ombra di dubbio accattivante, belli anche il coro e l’incedere pulsante del basso. La più calma Pressure, introduce la parte migliore del disco, caratterizzata da Flags and Footprints, Static e The Destruction of Words. La prima si potrebbe tranquillamente collocare tra gli hit della band britannica, ma a mio avviso è con Static che i Threshold assestano il colpo decisivo. Quest’ultima si apre con un riff magistrale per violenza e impeto, e per i suoi cinque minuti trascina l’ascoltatore in un viaggio entusiasmante, davvero notevole e un plauso agli axemen. Avrete di certo capito che Subsurface è, a mio modo di vedere, un’eccellente prova in studio della band albionica, che con il qui presente disco ha offerto un esempio di maturità artistica da applausi; leggermente al di sotto di alcuni perni della discografia, ma senz’ombra di dubbio tra le opere meglio riuscite. Gran parte del merito risiede nell’eccellente produzione, oltre che nei riff solidi e magistrali del duo Groom-Midson, ottima anche la prova del vocalist, che dimostra di essersi inserito ormai alla perfezione nel sestetto. Acquisto consigliato.