The Police – Ghost in The Machine

Alcuni lo definiscono il capolavoro dei Police. Altri invece preferiscono il successivo “Synchronicity”. Chi i primi album, quelli maggiormente influenzati dal ciclone punk che investì l’Inghilterra e il mondo intero verso la fine dei ’70. Insomma, come al solito si va un po’ a gusto personale, però è sicuro che “Ghost In The Machine” rappresenta un capitolo fondamentale della discografia del combo inglese. E’ con questo album che le velleità sperimentali della band presero corpo e si imposero con veemenza. In passato la band aveva sì dato alle stampe album per nulla banali o scontati, aveva inventato quel genere definito come “Reggae-Rock”, ma non si era mai spinta così in là nella ricerca sonora. Già nel 1980, con “Zenyatta Mondatta”, qualcosa iniziava a muoversi, l’album risultava più “raffinato”, si era scrollato di dosso quell’odiosa puzza di trasandato (che fa tanto punker) di cui erano imbevuti “Outlandos D’Amour” (1978) e “Regatta De Blanc” (1979), e proponeva finalmente pezzi più elaborati e curati. Ma c’era ancora margine. Sarà infatti nel 1981, con “Ghost in the Machine”, che potremo saggiare il tipico Police-Sound, votato alla più sfrenata contaminazione tra diversi generi musicali, immerso in un contesto sonoro per certi versi nuovo. Il leit-motiv del disco potrebbe essere riconosciuto nell’atmosfera “high tech” che si respira lungo il suo svolgimento. Per rendere l’idea: probabilmente se quest’album fosse stato concepito oggi, la band avrebbe fatto un largo uso di loop elettronici, synth e di altri artifici tecnologici. Data la strumentazione disponibile vent’anni fa, si fece solo un largo uso di effetistica, filtri, e si prestò notevole attenzione nella ricerca dei suoni di chitarra e basso, ottenendo soluzioni che senza dubbio spinsero molto più in là il confine artistico del gruppo. Il tutto, ovviamente, venne condito dal gusto melodico e dalla capacità di creare trame tanto interessanti quanto godibili, tipiche della band. A titolo esemplificativo, si potrebbero citare “Secret Journey”, che illustra molto bene quanto si è cercato di raccontare prima, oppure “Darkness”, che ruota attorno ad un enigmatico e ossessivo giro di pianoforte. Personalmente apprezzo molto “Omegaman”, canzone che punta tutto sul tipico “tiro” dei Police. Come dimenticare, poi, “Every Little thing She Does is Magic”, successo planetario da far tremare i polsi e perfetto esempio di come si possa costruire una canzone musicalmente interessante, riuscendo al tempo stesso a catturare l’attenzione del grande pubblico. I Police del 1981, al loro quarto album, apparivano incredibilmente maturi, affiatati e ispirati, tutto faceva presagire una carriera ancora lunga e ricchissima di soddisfazioni. Invece pubblicarono soltanto un altro disco, “Synchronicity”, nel 1983, ma fu un altro capolavoro.