Non capisco se i The forsaken, intitolando il loro nuovo disco “Traces of the past”, abbiano voluto prenderci tutti quanti per i fondelli o se stessero mettendo in pratica, da buoni svedesoni, un po’ di sana autoironia italiana. Lascio il dubbio a voi, fattostà che le ‘tracce del passato’ di cui sopra accenno sono un po’ il leitmotiv del disco in questione. Per chi non conoscesse assolutamente questa band, ecco due indizi per indirizzarvi sul genere da essa suonato: copertina di Niklas Sundin, origini svedesi. Avete già capito, no? Adesso ditemi che senso ha recensire questo disco, perchè effettivamente so di perdere del tempo nel farlo, quando già voi avrete capito (e vi starete già immaginando le canzoni, randomizzando col ‘Gothenburg riffs generator’ di cui, evidentemente, in Scandinavia tutti dispongono) di cosa si tratta, poichè, per quanto numerose possano essere le Swedish Death Metal band attive nel globo, la loro proposta nel 90% dei casi non di discosta di un sol millimetro da quella di At the Gates, The Haunted postumi (ovvero quelli capaci di gettare al vento tutte le buone idee espresse nel debut per aggregarsi pietosamente alle masse), Dimension Zero e mille altri ancora. La Svezia, musicalmente, oramai è un’ industria, una sorta di trappola, un vero e proprio Matrix. La casa discografica spia i ragazzini, li segue quando vanno a lezione di teoria musicale, poi quando sono pronti gli fanno ingerire la pillola rossa (o blu, se volessero suonare altro e prendere la cittadinanza norvegese o finnica, causa espatrio forzato), li muniscono di contratto ed eccoci al punto clou della questione: Gothenburg riffs generator (marchio registrato da un tale Bjorler) in dotazione, viaggio a casa di Niklas Sundin per farsi una copertina raffigurante qualcuno che urla o che si spara in testa (ovvero chi riceverà il promo e dovrà recensire il disco), ed ecco che sei pronto a sfornare due full lenght all’ anno alla tenera età di dodici anni, apparendo nei booklet del disco in foto che ti riprendono ricoperto di sangue mentre la mattina frequenti la terza media e studi Napoleone Bonaparte (noi italiani a quell’ età solitamente spaziamo dal suonare i campanelli e scappare al tirare i pop corn nelle platee dei cinema), e a creare tremila side-project (vedi quel buontempone di Tompa con i Nightrage, band la cui utilità non supera quella dei dischi anti-autovelox da mettere sul parafango) per ‘sfogare il tuo desiderio di creatività’. Ma un giorno, lo spero, qualcuno si ribellerà e inizierà a schivare i taglienti contratti scagliati dall’ agente Smith (qualcuno alla Century Media presumo si chiami così), a sfoderare calci volanti e terrificanti capriole contro le leggi della Fisica o, più semplicemente, il furbo metallaro medio (che si vanta di capire gli Ephel Duath e i Today is the day, ma poi regolarmente acquista 200-300 dischi Swedish Death ogni anno, dando ulteriori incentivi a queste label, e urlandogli “producetene altriiiiiiiiiiiiii”) smetterà di acquistare queste fotocopie, farà capire alle etichette discografiche che è il caso di smetterla seriamente, e la Svezia tornerà ad essere il paese delle belle bionde (I love you all!), del turismo, dei salmoni che nuotano contro corrente, e delle incazzature disumane di Jon “grande fratello” Nodtveidt. Torniamo a “Traces of the past”: non lo comprate, a meno che quella cover dei Metallica, “Blackened”, posta in fondo al disco e regolarmente rovinata dalla consueta velocizzazione ritmica di cui i The Forsaken hanno per l’occasione usufruito, vi attiri più di qualche altra valida uscita contemporanea come, diciamo, Anathema o Ballistic?