The arrival of Satan – Darkness dealer

L’oscurità, il buio più fitto e senza residui di pallore. Il nero è l’unico colore che campeggia nel misero artwork che incornicia questo grumo di sozzura e marciume. The Arrival Of Satan è un nome come un altro, banale magari, ma superfluo, affibbiato da uno degli artisti più vividamente ispirati del momento alla sua creatura musicale corrotta e depravata. Ci troviamo al cospetto della seconda incarnazione di Saint Vincent, losco figuro francese già protagonista del progetto industrial-black metal Blacklodge, che per la sottoscritta ha rappresentato la rivelazione estrema dell’anno. Per inciso: chi si permettesse il lusso di trascurarne i veleni non sa davvero a cosa rinuncia. Ma torniamo ai TAOS. Si tratta dell’incarnazione più rozza e bestiale di Saint Vincent, che anche in questa occasione si è occupato integralmente del suo pargolo mostruoso, componendo da solo l’intero album, ma affidando stavolta le parti di batteria e di voce a tali Krukka e Necropiss. Per quanto riguarda la sostanza sonora di “Darkness dealer”, la copertina parla da sola, rievocando palesemente i tempi di “Transilvanian Hunger”, “A blaze in the northern sky” e nefandezze simili. Dunque se la diano a gambe gli innovatori e restino solo i seri adoratori del nero verbo nella sua forma più grezza e primitiva. È quasi incredibile vedere materializzarsi un album simile nel 2003, tanto è legato agli stilemi norse dei tempi che furono. Posso dirvi solo che tutto è perfetto in questo teatro dove regna il buio più fitto. Le chitarre sfrigolano impazzite, la batteria è un frullatore indistinto e la voce è il rantolo informe e disumano di una creatura tormentata. L’aria che si respira è pericolosamente malsana e densa di sopori inneggianti al suicidio, o se non altro ad una depressione sempre incombente. “Darkness dealer” è un’opera che va sorbita tutta d’un pezzo, senza soste o intervalli per riprendere fiato: si tratta di un blocco monolitico e allo stesso tempo amorfo, un marasma caotico e ronzante che appesta e soffoca. La sensazione costante che mi ha attanagliato durante l’esperienza TAOS è stata quella di una tempesta violenta di aghi, scaraventata sulla mia pelle nuda, e inerme. E come tale, l’esperienza TAOS va rischiata sulla propria pelle: provate, provate, provate…