Tatoo The Planet 2001

Localita: Palavobis – Milano

Devo ammettere che l’attesa per questo concerto e’stata piu’lunga ed estenuante rispetto a quella che mi ha coinvolto nei mesi precedenti il Gods of Metal. Le ragioni erano fondamentalmente due: la prima i vari rinvii del concerto, che si sarebbe dovuto tenere in settembre ma che poi, per i fatti avvenuti in America e per il bill varie volte rivoluzionato, si e’tenuto il 17 di ottobre nel Palavobis, gia’calderone insopportabile nell’occasione del Gods 2k1. La seconda ragione che mi ha sconvolto brutalmente e’ stata quella del Bill, che e’passato da una scaletta di classe ad una senza Pantera ma allo stesso tempo arricchita da band che sognavo di vedere. Il progetto precedente vedeva coinvolta si la band di Phil Anselmo, ma quando ci si trova dinanzi ad un bill con Slayer+Cradle of filth+Chidlren of Bodom+Moonspell+Extrema+Necrodeath+Underbred, l’interesse non poteva essere che incredibile nei miei confronti. L’area esterna del Palavobis era gia’abbastanza intorno alle due del pomeriggio, ed e’andata gradualmente ad affollarsi fino ad un culmine che vedeva il Palavobis riempito di un buon pubblico gia’poco dopo l’apertura dei cancelli ed i relativi controlli da parte delle forze dell’ordine. I presenti, infatti, rendevano il suo interno pressoche’pieno escludendo qualche vuoto sugli spalti e la possibilita’ di camminare tranquillamente nelle vicinanze dell’estremo del locale piu’lontano dal palco…..cosa impossibile al Gods of metal, dove anche ai lati era quasi impossibile muoversi, vista la notevole presenza di pubblico. L’atmosfera era gia’abbastanza calda da prima dell’apertura, quando i cori rivolti agli Slayer si succedevano freneticamente fra i presenti. Il concerto per me e’iniziato purtroppo con l’esibizione dei Necrodeath, gia’avviata. Mi sono perso gli Underbred, dei quali non sapevo e quindi non so tutt’oggi niente. I Necrodeath (VOTO 8) invece riponevano in me grandi aspettative, dato che la precedente volta in cui mi ero ritrovato a vederli potei affermare che quello fu uno dei concerti piu’belli della mia vita…ed anche questa volta, delle impeccabili macchine da guerra, col loro Thrash estremo sempre ai limiti e carico di influenze pesanti dal death e dal black. Il loro show si e’dimostrato una dichiarazione di guerra, a base di headbanging, sfuriate, stage diving fra il pubblico ed una prestazione come al solito arricchita dal grandissimo singer Flegias, ex Opera IX, che come su disco ha dilaniato l’aria col suono della sua voce marcia e graffiante. Momenti culminanti dello show le esecuzioni delle bellissime “Mater tenebrarum”, “Sacrifice 2k1” (ovvero la riedizione di “Eucharistical sacrifice” del 1989) ed “Hate and scorn”. Ottima anche la prova offerta sulla vecchia ed efficace “At the mountains of madness”, che mi ha lasciato un po’spiazzato dato che mi aspettavo maggiormente pezzi quali “Necrosadist” o “Flag of the inverted cross”, se si parla di estratti dal primo e glorioso “Into the macabre”. Tuttavia, il tempo datogli era veramente poco, come indecente era la posizione in scaletta per una band che merita un posto in prima fila fra i concorrenti della nostrana scena. Unico “neo” dello show, oltre al relativamente poco tempo concessogli, il suono, che ha visto i suoni del rullante di Peso troppo alti uniti ad un lavoro chitarristico reso troppo “pastoso” da un lavoro di mixaggio un po’impreciso…ma non importa, grandi Necrodeath, quindici anni fa come oggi. Eterni. Gli Extrema (VOTO 7) sono venuti sul palco anch’essi con la chiarissima idea di imporsi dinanzi al pubblico milanese con uno show violento e carismatico. Anche per loro, poco il responso da parte di critica ed in fatti di vendite, dato il fatto che la loro carriera sta diventando piuttosto lunga e che l’ultimo “Better mad than dead” ha ricevuto ottimi voti in sede di recensioni, senza pero’ lanciarli come invece avviene con le band della scena classica in Italia. Ottimo lo show, a base di riff Panteriani e rimandi talvolta al passato, col thrash, quindi ad hardcore ed alle sonorita’che oggi infiammano le scene Americane. Buoni davvero, a riprova che Italia non significa solo Rhapsody e Labyrinth. Momento culminante della loro esibizione, l’esecuzione della bellissima “Money talks”, con buona parte del pubblico in delirio ma, visibilmente, la maggior parte dei presenti si teneva da parte per il massacro finale. Una bandiera portoghese con su la scritta “Opium” si e’innalzata di li’a poco in mezzo alla fascia immediatamente dinanzi al palco: Moonspell. (VOTO 8,5) E quindi, dopo una session di prove del suono lunghissima, ecco Fernando Ribeiro e compagnia apparire sul palco iniziando a bombardare la folla col loro gothic aggressivo ma allo stesso tempo fortemente potente e coinvolgente. Inizio con “Devilred”, e col relativo responso positivissimo da parte del pubblico, a riprova di un freschissimo “Darkness and hope” che li ha rimandati al passato sia come sonorita’, che per qualita’ dei brani (anche se siamo distanti dai capolavori di “Wolfheart” ed “Irreligious”). Quindi e’il turno della immortale “Opium”, indimenticabile con la sua melodia travolgente e resa maestosa dai growl espressivi e bellissimi di Fernando Ribeiro; a seguire la stupenda “Wolfshade”, perfetta nella sula lunghezza, per poi giungere al turno di “Firewalking” e di altri classici, come “Vampiria” e l’esecuzione di alcune tracce dai tanto bistrattati “Sin/Pecado” e “Butterfly FX”. Immensa delusione mi e’giunta per la mancanza in scaletta dell’indimenticabile “Alma mater”, che considero il loro migliore pezzo di sempre. Quindi, di fila due delle band piu’in voga nelle vetrine dei negozi che trattano il metal: Children of Bodom e Cradle of filth. I primi (Children of Bodom) (VOTO 7,5) hanno da una parte esaltato e dall’altra immensamente deluso. Varie le ragioni che mi hanno portato a bocciare parte della loro esibizione. Premetto che l’ultimo “Follow the Reaper” mi ha deluso fortemente, ma non e’per questo che ho poco apprezzato parte di quanto fatto dai giovanissimi metallers finnici. Apertura dello spettacolo affidata ad “Hate me”, il singolo estratto dal loro sopraccitato ultimo full lenght: una delle due chitarre (la ritmica), e’staccata e quindi riusciamo a sentire soltanto quella di Alexi Laiho, perlopiu’ quasi fisso nell’intento di devastarci coi suoi perfetti assoli. Le ritmiche mancano per 2/3 della song ed i suoni del basso sono molto bassi. Il suono poi si assesta a cavallo fra questa e la song precedente e lo show dei finlandesi migliora di colpo: “Towards dead end”, “Downfall”, “Silent night Bodom night”, sono gli estratti dall’ottimo “Hatebreeder”, che si scambiano con le esecuzioni degli highlights dell’ultimo “Follow the reaper”, come “Everytime I die”, lenta ed immensa, o i rimandi al passato (prossimo) con “Lake Bodom”, tratta dal primo capolavoro “Something wild”, forse uno dei momenti culminanti dell’intera esibizione. Stupendi gli intrecci solistici chitarra/tastiera, con Warman sempre in perfetta intesa con Laiho, a sua volta alle prese con vocalizzi estremi e qualche volta imperfetti e giudi tono. Non importa, visto l’alto coinvolgimento e la potenza sprigionata da una band si energica, ma a volte troppo melodica ed orfana delle parti grezze che me li avevano fatti adorare in “Something wild”. Una breve sessione di prove del suono, a differenza di quanto accaduto in occasione della loro prova (scadente) al Gods of Metal, e si presentano i Cradle of filth, (VOTO 5,5) fra mille dubbi ed altrettante speranze. I 6 vampiri oramai sulla bocca di chiunque si presentano sul palco scatenandosi in un headbanging che mi rasserena, ma quando le note di “Chtulhu dawn” giungono alla prima strofa e la voce di Dani manca ed e’sostituita dai cori del pubblico, improvvisamente rimango sconvolto. Si giunge a meta’song, e qualcuno fra gli addetti al mixaggio si accorge che c’e’qualcosa che non va, ed alza la voce a livelli spaventosi (altra nota negativa, visto che di li’in poi si sentira’solo il piccolo singer…). Altra nota negativissima, il suono della batteria di Adrian Erlandsson (ahimè, i tempi degli At the gates!), incentrato su suoni di cassa altissimi e penalizzato da quelli del rullante praticamente inesistente. Dopo tutto, lo show ha giovato della presenza in scaletta di pezzi basilari come “The principle of evil made flesh”, “The forest whispers my name”, “Ebony dressed for sunset”, “Malice through the looking glass”, che come spesso capita quando ci si trova dinanzi ai rimandi al passato, non mi hanno impedito di cantare a squarciagola (termine adattissimo, visto che oggi, a due giorni dall’evento, non parlo praticamente…) nonostante una prova resa scialba dalla scabrosa competenza dei relativi tecnici. Scatenati i due axe Allender e Pyres, alle prese con un headbanging furioso, alternato ai momenti scenici che han reso popolare la band inglese, grazie alla presenza su palco delle solite ballerine, stavolta sia su trampoli che alle prese con getti di fuoco, spesso stuzzicate da Dani, come fu anche nelle altre due occasioni in cui ho visto i Cradle of filth dal vivo. Altro da segnalare? L’esecuzione di “Cruelty brought thee orchids”, come al solito accolta benissimo dai fan sfegatati della band. Che dire di questa prova? Scialba o resa grandiosa dall’altissimo numero di fan presenti? Vi lascio con la risposta libera…non so che dire, ma la sufficienza e’inetivabilmente vicina solo se penso ai travolgenti riff eseguiti sulle song piu’vecchie, piu’legate al black metal e non solo per questo affascinanti. Diciamo “tanto fumo e niente arrosto”: solita presenza scenica a mille, suono spiazzante e song coinvolgenti solo a tratti. Siamo lontani dai fasti del passato. Dani e soci spariscono dal palco, ben accolti e quasi mai pizzicati dal pubblico come fu in occasione del GOM 2001, quando ci fu anche un discreto lancio di bottigliette di plastica…le luci si riaccendono, cancellando l’oscurita’della loro esibizione, ed un’enorme drum set appare coperto da un velo bianco posto su di una enorme pedana, vasta quando l’area occupata dalla batteria in questione. I cori inneggianti agli Slayer (VOTO 10) fanno quasi sussultare il Palavobis. Una coreografia oscura appare sullo sfondo del palco trasformandolo in un’area da guerra. Pile di amplificatori vengono aggiunte a quelle gia’presenti, quasi come torri immense. Un tecnico prova la batteria di Paul Bostaph ed il suono emanato dalla doppia cassa devasta subito l’udito del pubblico, che di li’ a poco ne avra’ per piu’di un’ora e mezzo. Durante le prove del suono, un disco punk viene messo in diffusione e vorrei tanto cancellare quelle note indegne della potenza e della malvagita’che gli Slayer, da me ancora mai visti in sede Live, sprigioneranno di li’a poco. L’Inferno, questa e’l’unica parola per descrivere cio’che accade quando la breve intro termina e la sagoma di Tom Araya appare fra il fumo del palco scaturendo le urla del pubblico ed un pogo a musica ferma. Parte “Disciple”, dall’ultimo buon “God hates us all”, e contemporaneamente i cori “Slayer Slayer” diventano urla, coperte dal massacro del muro sonoro che solo questa band puo’fare: quattro Dei atti a devastare tutto col loro thrash estremo e velocissimo. Si susseguono ad essa il capolavoro “War ensemble”, tratta da “Season in the abyss”, la piu’recente “Stain of mind”, quindi “New faith” e poi l’inferno: di seguito troviamo “Postmortem”-“Raining blood”-“Hell awaits”-“Die by the sword”…quattro song che annichiliscono il pubblico e lo esaltano allo stesso tempo. Devastanti, superiori a detta dei presenti rispetto a quanto fatto nel tour coi Sepultura del 1998 ed al Gods del 2000. La scaletta continua in buona parte sulla scia di una scelta optata in direzione volta ai primi cinque e gloriosi dischi: spazio per quasi tutti i piu’grandi classici, poiche’ dopo l’esecuzione di nuovi brani come “God send death” , “Bloodline”, affascinante ed oscura, e l’ottima “New faith”, si passa per perle del piu’remoto passato come “Chemical warfare”, autentica mazzata che rende ancora piu’infuocata l’aria del Palavobis, oramai pesantissima grazie alla cappa di fumo che sovrasta l’edificio. Gli Slayer non sembrano pero’cedere, l’ora di concerto e’passata ed i nostri ci meravigliano: “Captor of sin”, perla del passato per molti sconosciuta; e quindi un trittico di mid tempos da urlo, composto da “Season in the abyss”, “Mandatory suicide” e da “South of heaven”, eseguita perfettamente, da brividi e che lascia il pubblico in stato di euforia. Bellissimi quindi i momenti in cui la band si avvicina al pubblico, con i cori “USA USA” accolti da Araya quasi con commozione, che ringrazia in italiano, e quindi una bandiera lanciatagli dal pubblico raffigurante il logo della band con sotto simboli Neri, immediatamente passata a Bostaph che la mette via come un cimelio di guerra. Finisce “South of heaven” ed il buio cala sul palco. Il pubblico non accenna a muoversi, perche’ sa benissimo che un tassello manca e che gli Slayer lo tireranno fuori sicuramente: “Angel of death”. La band riappare, e la suona furiosamente fra headbanging ed un’esecuzione perfetta, impeccabile e culminante nella parte finale della song, dove il pubblico da’quel che rimane, dinanzi alla piu’grande Live band (e forse non solo) di tutti i tempi. Araya saluta, lasciando quasi l’amaro in bocca ad un pubblico stanco ma che pareva volerne ancora con i cori decisi e di atteggiamento di semi idolatria nei confronti di coloro che rivoluzionarono il thrash quindici anni fa, e che continuano a spazzare via tutto ogni qualvolta riappaiono nelle vetrine dei negozi o sugli stage di tutto il mondo. Perfetti, inclassificabili, indescrivibili…….Slayer.