Spellcraft – Tears like rain

Sulla scia di tutto ciò che ha fatto successo negli anni novanta in campo decadentista, gli Spellcraft, band proveniente da L’Aquila, sono giunti alla produzione di “Tears like rain”, secondo lavoro in studio nonchè successore di “Faded demo 2000”. Il prodotto si presenta su livelli di qualità mediamente molto alti, forse anche in maniera dipendente dal non corto periodo di attività del quartetto, formatosi nel lontano 1997. La biografia, allegata al disco, cita dark-heavy-rock. In parte ciò è confermabile, ma ritengo che, oltre a questa definizione, ci sia ben altro, nel sound degli Spellcraft. Come ho detto prima, la band non rinuncia a nulla, nelle sue influenze: si parte da basi fortemente legate ai Paradise Lost del periodo “Gothic” – “Icon”, con particolare riferimento a quest’ultimo ed a canzoni come la celebre “Embers fire”. I legami sonori che tengono vicino il sound della band di Holmes agli Spellcraft deriva dall’uso chitarristico, sempre a cavallo fra il doom metal ed il seminale gothic che scaturì nei nineties proprio da questi. Un chitarrismo, quello bilaterale messo in mostra dai nostri, che nella sua apparente semplicità strutturale mostra a tratti veli nascosti dietro ai quali si cela un utilizzo delle componenti melodiche impeccabile ed efficacissimo. Vicini sono i Paradise lost, ma lo sono anche gli Anathema di lavori come “Alternative four” o i Katatonia (come viene citato nelle note biografiche) del periodo mediano della loro carriera. Fortissimi anche i legami con la scena “suicidal” tanto in voga a partire dalla Finlandia, incontrastato ceppo di partenza del genere: il cantato ricorda -non proprio in maniera vaga- quello di Ville Laihala dei Sentenced, e la struttura delle song, partendo da un ipotetico gothic metal di base, stende i propri rami in maniera omogenea su tutti i territori battuti dal “suicidal metal” in questi anni: non manca niente, dalla componente oscura dei primi To die for, sino al forte coinvolgimento che band come HIM od Entwine possono dare. In poche parole, un disco ben distribuito fra parti implicite e tutte da scoprire e fraseggi easy listening d’effetto. Ottimi i vocalizzi di Gino, peraltro anche chitarrista della band (assieme a Michele), ben distribuiti fra parti pulite di stampo prettamente nordico e growl vocals non cupi e gutturali come nel caso degli Opeth, ma maggiormente dosati in potenza ed aggressività. I pezzi, cinque, sono quanto basta -ed oltre- per poter giudicare una band, quella degli Spellcraft, che denota pochissimi punti deboli, fra cui una capacità di coinvolgimento non continua su tutta la durata del lavoro (fattore al quale i quattro potranno rimediare senza problemi in occasione di un futuro full lenght…) ed alcune piccole cose da assestare, come un maggior bilanciamento dell’espressività canora (già buona), ed un elevato utilizzo dei cambi di tempo, tuttavia qui non esenti. Bravi tutti, dal drummer -Enrico-, sempre eccezionale nell’uso della cassa e fantasioso nei suoi fraseggi, sino al vocalist Gino, passionale ed aggressivo nelle sue esecuzioni. Tuttavia, siamo al secondo demo, e di strada, per giungere alla maturità stilistica, gli Spellcraft ne devono ancora percorrere tanta. Ottima dimostrazione di come in Italia non sia solo possibile suonare metal classico e power. Ora sta alle case discografiche dare una maggiore possibilità -e peso- alla metà oscura del metal tricolore, quella che, attraverso gruppi come Novembre o Necrodeath, pare voler guadagnare sempre più campo.