Se avete seguito la carriera musicale dei Sepultura post – “Roots”, questo terzo capitolo dei Soulfly, nuova incarnazione della personalità musicale di Max Cavalera, vi dirà tutto e nulla, presentandovi alcune novità sotto certi aspetti e non proponendo assolutamente nulla di nuovo sotto altri. Il lavoro, successore del fortunato “Primitive”, è stato intitolato simbolicamente “3”, e rappresenta l’ennesimo capitolo di ricerca di un successore di “Roots” da parte del brasiliano singer che ha militato nei Sepultura sino al clamoroso split dal fratello Igor e dal resto della band, dettato da problemi personali fra la moglie di Max – Gloria – e gli altri componenti della band che, in tempi oramai remoti, produsse gemme del death metal quali “Arise” o il grezzo e seminale “Schizophrenia”. Altri tempi: da quando, nel 1993, Cavalera ha iniziato a considerare fortemente la componente etnica che le sue origini gli imponevano di dettare in musica, il connubio deathsters – Sepultura è sempre più divenuto carico di grinse e di sfaccettature che parevano prevedere la formazione di un prematuro punto di rottura. “Chaos A.D.” fu accettato a malapena dai fans, mentre “Roots”, disco dichiarato capolavoro dai più, è stato totalmente snobbato da un’audience death metal oramai in crisi dinanzi ad uno sconsolato mercato di settore che avrebbe rivisto la luce solo alcuni anni dopo. Ma questo è un altro discorso. Avete amato i primi due capitoli dei Soulfly? Sappiate che la miscela, in “3”, cambia e non cambia allo stesso tempo. La band è sempre riconoscibilissima nella proposizione del suo efficiente metal-core striato di musica etnica e crossover, fedele a sè stessa, ma ha aggiunto – o meglio ripescato – delle componenti dal vecchio calderone targato Seps: “3” segnala un certo ritorno ai tempi di “Chaos A.D.”, dettato dalla velocizzazione delle sezioni ritmiche e dal chitarrismo che, sin dall’abbandono di Logan, è divenuto sempre più presente all’interno del songwriting dei Soulfly. Il lavoro, purtroppo, non si mantiene sui livelli di “Primitive”, pur sfornando ottime song come “Enterfaith” – pezzo che ad un tratto sfiora il plagio estraendo chiaramente un riff da “Refuse / Resist” – o “Downstroy”. La struttura delle song risente fortemente dello stilema tanto caro ad Andreas Kisser, come al solito appoggiato da un Max Cavalera in forma messo però leggermente in secondo piano da un mixaggio volumistico che pone in primo piano chitarra e batteria. Altri – minimali – esperimenti provengono da “One”, pezzo nel quale Max si cimenta nel cantato pulito rimandando la sua timbrica ad uno stile che pare più accostabile a quello pulito standard presentato dalla situazione nu metal media rispetto agli scampoli di clean-vocals che erano stati fatti trasparire dai Sepultura in vecchi pezzi come “Inner self”. Discreta anche “Tree of pain”, pezzo inizialmentecontenuto dove compare il cantato femminile, mentre un altro degli episodi clou – per la sua particolarità e certamente non in qualità – di “3” è rappresentato da “Call to arms”, velocissima canzone posta sul piano di classici come “Clenched fist” o “Biotech is Godzilla” che, purtroppo, non intacca assolutamente la qualità esposta da tali classici, assestandosi sui piani della feroce hardcore song “Revolt”, recente parto dei Sepultura. Il resto è di fattura media, appena sufficiente, e non migliora di certo lo status espositivo di una band, quella dei Soulfly, che pare sin troppo ancorata mediante le sue dipendenze al nome – lussuoso – di Max Cavalera, che lascia troppo nell’anonimato gli altri componenti. I Soulfly, datemi retta, non produrranno mai un “Roots – parte seconda”: scarsa personalità individuale ed una capacità di imporre materiale prettamente proprio che rasenta lo zero. Qua non c’è un Igor Cavalera capace di avviare una song come fece con “Territory”, nè un chitarrista chaotico come Kisser, e dal fronte Sepultura i problemi paiono essere i medesimi. Cavalera non funziona senza i Seps e viceversa: urge una reunion, che sia a scopi monetari o meno.