Skinless – From sacrifice to survival

Gli Skinless sono una delle più fresche realtà fra quelle che il Death Metal di stampo americano, da tempo immemore alla ricerca di nuovi leader nonchè di degni successori dei defunti Death ed Obituary, è in grado di proporci al giorno d’oggi. E’ piuttosto facile esaltarsi dinanzi ai nuovi – e buoni, ma tutt’altro che eccezionali – lavori di Origin o Hate Eternal, salvo poi ripensarci con una nutrita dose di contegno in più ed affermare che questi parti discografici non valgono un decimo, qualitativamente parlando, delle perle che uscirono a inizio anni ’90, vedi “Cause of Death”, vedi “Human”, vedi “Blessed are the sick” e tanti altri ancora. Il Death Metal sta bene, insomma, ma a guidarne il rinato movimento sono in mille e si stenta dunque ad individuare nuovi porta bandiera, pur considerando che le glorie di allora, ad esempio Malevolent creation e Morbid angel, non risplendono esattamente come ai vecchi tempi. Precisando che questi Skinless, con buona probabilità, non diventeranno mai dei mostri sacri, va comunque lodata la loro bravura, concretizzatasi nei dischi precedenti a suon di canzoni stilisticamente tutt’altro che innovative ma letali sul piano del tiro e della presa. Ascoltare una certa “Tampon lollipops” (da “Progression towards evil”) per credere. “From sacrifice to survival” è un po’ la loro prova del nove: un platter stilisticamente perfetto, suonato a regola d’arte complice anche la presenza in line-up di un certo John Longstreth, ossia la mitragliatrice che risiede dietro alle pelli di certi Origin. Ma qualcosa, a dispetto di quanto accadde in quel “Foreshadowing our demise” di due anni fa, non scorre proprio alla perfezione come ci si poteva immaginare: i brani sono più maturi che in passato, sfruttano maggiormente le mid-tempos ed accoppiano fasi veloci e tecnicissime a rallentamenti tortuosi dove riff coinvolgenti e rocciosi innalzano un muro di suono senza precedenti. Poi sortiscono canzoni da dieci e lode, come ad esempio una certa “Deathwork” che, dotata di un break centrale mastodontico, da’ sale e vitalità in abbondanza ad un disco dotatissimo. Manca però un po’ di continuità, cosicchè nella seconda parte della tracklisting i brani stentano un po’ a prendere il volo e non esaltano come dovrebbero. Insomma: sul piano dello stile l’ennesima lezione targata Skinless, ma a livello di qualità un piccolo passo indietro rispetto ai due predecessori in studio è stato purtroppo fatto. Band dunque da rivalutare e da rivedere in occasione di uscite future, in ogni caso un buon lavoro.