“Farmakon” degli Skepticism raggiunge una durata di quasi un’ora, eppure, nonostante i contenuti siano tutt’altro che scarni sul piano quantitativo, mentre lo ascolti ti pare di essere a cavallo fra il vuoto più totale e sensazioni dall’intensità indescrivibile. E’ difficile parlare di un lavoro come questo, che già di per sè trova il Doom come una definizione troppo stretta se raffrontata al suo materiale: tastiere dal suono funereo, voce cavernosa ma non per questo scevra da espressività, ed un minimalismo che quasi fa paura per come il lavoro finisce, nella sua apparente pesantezza, per scorrere con una facilità che definirei estrema. “Farmakon” è una grandissima esperienza, che ora ti tende i nervi con una “The raven and the backwards funeral” che, posta in apertura al lotto, si rivelerà poi il brano più facile fra i sei di cui la scaletta dispone, e che poi, concludendo i giochi con “Nothing”, ti mette dinanzi ad un pezzo che, mostrando una durata di quasi tredici minuti, per i primi due minuti e mezzo ti ossessionerà col solito riff, decadente e marziale, sorretto da una batteria il cui suono pare provenire dal fondo di una grotta – la sensazione di distanza rispetto alle chitarre è notevole. La concezione di Doom dinanzi alla quale veniamo a trovarci è piuttosto strana: ben distante da tutto ciò che si può ritenere di origini sabbathiane, la musica degli Skepticism risente del Metal estremo più minimale e di stampo europeo e ne attinge specie per quel che riguarda i riff di chitarra. Un lavoro difficile, cosparso da passaggi incredibilmente decadenti e sinistri, e da canzoni che nella loro integrità si rivelano micidiali, ma non affatto memorabili. Provate pure “Farmakon”, starà a voi testare la vostra resistenza nei confronti di esperienze come questa.