L’acronimo SIN è facilmente decifrabile, basta dare un’occhiata al titolo dell’album di esordio della band per capirlo: Somewhere Into Nowhere, un nome che dovrebbe richiamare a un che di psichedelico o di onirico e in parte le attese non sono assolutamente smentite dalla band di Deddy Andler e soci. Soprattutto va detto che sin dal primo ascolto i S.I.N. risultano molto diretti ma non per questo banali: il primo paragone che mi viene in mente è quello con i blasonati Queensryche, in particolare quelli di Empire e solo in parte i ‘ryche dell’ultimo periodo. Tale paragone potrebbe risultare azzardato e soprattutto insostenibile per Andler, Marks, Frank e Hlousek, ma ascoltando il disco verreste clamorosamente smentiti: l’esordio Somewhere into Nowhere è infatti un ottimo disco, con canzoni interessantissime e decisamente originali. Forse il difetto principale del disco risiede nella produzione, un po’ povera, che penalizza il lato strumentale che non è assolutamente banale ma si distingue poco ed è altrettanto poco comprensibile; peccato o non avrei esitato a parlare di capolavoro o di ‘candidato a disco dell’anno’. Tornando al disco in sé, si segnala immediatamente l’introduttiva Crucified, movimentata ma probabilmente dotata di scarso mordente, sicuramente una delle canzoni meno riuscite dell’album. Il vocalist anglosassone Marks però non sfigura assolutamente, e si ripete nella seguente Throwing it all away una bellissima song dotata di linee vocali davvero accattivanti e un bel gioco di chitarre. Il meglio lo si raggiunge grazie alla title-track, che sfoggia un ritornello da far accapponare la pelle; veramente una canzone straordinaria sotto ogni punto di vista, ascoltatevela almeno dieci volte in loop! Il disco poi rallenta con la bella e struggente ballad All of My Heart, salvo poi tornare su un hard rock spruzzato di prog grazie a Learning to Live: bella l’alternanza tra il cantato molto dolce di Marks e le corde taglienti come rasoi.
Soltanto discreta la sesta Freefalling, un rock anthem ben condito dal reparto chitarra-basso. Decisamente meglio l’onirica I Know, nella quale l’inglese Marks sfoggia una prestazione maiuscola; veramente ottima la prova generale del frontman, che sui bassi canta divinamente. A new tomorrow, la canzone più lunga all’interno dell’album (cinque minuti e venti), si colloca su livelli alti, ed è la traccia nella quale la produzione è meno penalizzata. Altrettanto piacevole la nona fatica, Rain, che vede nuovamente un vocalist in grandissimo spolvero. Molto piu’ movimentata e dal groove rockeggiante la conclusiva All or Nothing (complimenti per il titolo!). In conclusione l’opera prima del chitarrista Deddy Andler e soci è decisamente notevole; difetta come si è detto nella produzione, ed è un vero peccato perché si tratta di una piccola perla da acquistare sicuramente. I S.I.N. dimostrano comunque doti non comuni, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista del songwriting; non esito a riporre fiducia nel futuro di questa band, alla quale l’etichetta di ‘promessa’ già va stretta.