Silencer – Death of awe

Death Of Awe rappresenta il primo full-lenght album dei Silencer, e arriva dopo la pubblicazione di due EP’s, Kozmos (2000), e Structures (2002). Il quintetto americano si presenta al pubblico suonando undici tracce di thrash moderno, ovvero, un thrash-core schizzato e destabilizzante in cui la furia distruttiva e disperata che caratterizza il cantato di Chad Armstrong, è accompagnata dal riffing preciso, ma per certi versi freddo, della coppia Lynn/Spargo. Le atmosfere create dalla band all’interno di questo disco sembrano sorrette da sentimenti di pura alienazione che trovano voce nelle interpretazioni accese di Armstrong, improntate al parossismo. In generale, si viene travolti da un vortice sonoro all’ interno del quale confluiscono claustrofobia, follia, ed urla liberatorie, che non danno minimamente tregua all’ascoltatore, e lo sballottano da una traccia all’ altra senza che riesca a capirci qualcosa. L’impressione che ho avuto, è proprio quella di una uniformità di linguaggio, in cui è difficile scorgere le differenze tra un brano e l’altro, o comunque, senza che ti rimanga scolpito nella mente qualcosa di preciso (un riff, un solo, ecc.); l’album va probabilmente considerato nella sua interezza, come un’entità compatta che travolge l’ascoltatore, senza tanti complimenti, ma è indubbio che questa sua prerogativa possa rappresentare un punto debole non indifferente. Di certo, i Silencer propongono un thrash la cui precisione chirurgica, è evidente, e dimostra tutta la forza distruttiva che questa band è capace di sprigionare; un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi, è la presenza di sfumature sonore vicine all’ industrial, che contribuiscono ad appesantire l’atmosfera alienante che caratterizza l’opera, dandole, anche, un’impronta cibernetica. Purtroppo, a parere di chi scrive, gli aspetti avveniristici della proposta dei Silencer sono stati sacrificati a favore di un’impatto sonoro corrosivo, che ha preso il sopravvento sull’eventuale presenza di un aspetto intellettuale, e le ha dunque sottratto quel fascino che avrebbe contribuito a rendere il disco più interessante.