Poco o nulla di nuovo ha da offrire questo “Second Floor” dei genovesi Shadows Of Steel: speed-power melodico (esattamente quello che “andava di moda” alla fine dei nineties), sulla scia di Labyrinth e progenie, registrato tra fine ’99 e inizio 2000. Non è una riedizione, ma semplicemente la prima pubblicazione di materiale evidentemente messo in castigo in un angolo ad aspettare il proprio turno da ragioni che con l’arte e la musica non hanno nulla a che fare…
Ma non divaghiamo: dicevo prima che “Second Floor” non offre molto di nuovo, e questo è innegabile ( per toglierci ogni dubbio dalla testa, si ascoltino la title track, “King Of The Island” o “Crying”…), come è altrettanto innegabili che è esattamente un disco di questo genere che si voleva realizzare, senza falsi sperimentalismi, o fighette dichiarazioni d’intenti. Quindi chi di voi deciderà di dare un chance a questo platter si prepari ad una buona (e abbondante) dose di melodia e ritmi metronomici al limite del sostenibile (…e infatti alla batteria troviamo una locomotiva: Frank Andiver…), condito da alcuni inserimenti più progressivi, gustosi sì, ma che non riescono a regalare a questo “Second Floor” il salto di qualità definitivo. Innegabili le doti dei singoli elementi della band, che riescono a tirare fuori dal cilindro diverse buone idee, e mi riferisco ad alcuni spunti di “Heroes”, o all’accattivante e ben scritta “Dame ‘n Lord” (canzone nella quale trovo davvero opportuni e gradevoli gli inserimenti di vocals femminili, intuizione che viene riproposta in altri punti del disco.). Non voglio tralasciare “Talk To The Wind”, la ballad del disco (che sebbene ora mi piaccia, magari tra un po’ cadrà nel limbo del “senza infamia e senza lode”). Buona anche la conclusiva “The Playing Room V”. Il problema è che oggi certe sonorità hanno stancato il mercato, hanno annoiato anche i sostenitori più accaniti del “power” – i quali sono sicuro che saprebbero capire già delle prime battute dove vuole andare a parare una certa canzone, attraverso quale cammino, e quali saranno i “colpi di scena” che potranno accadere, dove, come e perché… Questo è il limite del disco, ed è questo che lo spinge al di sotto della sufficienza (anche a causa di un songwriting a tratti sì azzeccato ma mai “stellare”). Almeno oggi… se “Second Floor” fosse uscito quando doveva, credo avrebbe potuto contare su un’accoglienza diversa. Originalità a parte, c’è da fare ancora un appunto sui suoni di tastiera, veramente troppo grezzi, certamente non all’altezza degli standard odierni della concorrenza. Insomma, un disco di cui pochi sentivano la mancanza, ma rimane la curiosità di sapere che cosa ci proporrà in futuro la band (e consiglierei anche a voi di rimanere con le antennine dritte), quando farà uscire un disco non più già vecchio di tre anni…