I Secret sphere rappresentano bene il lato avverso della nostra scena Metal, quel frangente capace di donare vitalità e freschezza laddove un’ intera nazione non riesce ad esprimersi su buoni livelli lungo tutto l’arco del genere da noi amato. Ammetto innanzitutto che “Scent of human desire” è il miglior disco Metal italiano che ascolto dai tempi di “Melodies of sperm composed” dei Karnak e dall’ omonimo cd degli Aisling: il filone classico era nettamente in debito di ossigeno, con gli Eldritch ed i Labyrinth fermi al pit-stop e con gli Highlord soli a tenere in mano le redini dei giochi, apparentemente perduti in un mare di uscite dal valore talvolta nullo. E chi pensava che il passaggio dei Secret sphere alla ricca Nuclear blast non avrebbe portato a galla nulla di buono dovrà – come me – incrociare le dita e chiedere anzitempo scusa. “Scent of human desire” è sinonimo di progresso: laddove i Cydonia sono da poco riusciti in una mutazione azzardata, rischiosa e terminata con un successo a metà che non ci risparmia del rancore, i Secret sphere non falliscono affatto, portano avanti il discorso avanzato già con il discreto “A time nevercome”, e lo rivoluzionano al contempo, modificando perlomeno il cinquanta percento dei contenuti presenti nel sound del precedente full lenght registrato in studio. Così come i Cydonia attuali non sembrano la band che incise l’omonimo – e anonimo – debut, i Secret sphere riescono nell’intento di creare un qualcosa di unico e personale a soli due anni dalla release di “A time nevercome”, ed a quattro da quella del mediocre “Mistress of the shadowlight”, ciò che reputo uno dei dieci dischi italiani più sopravvalutati della trascorsa decade. “Scent of human desire”, sorretto da un artwork di gran classe che giustifica in partenza il generoso budget messo a disposizione della band da parte della label tedesca succitata, trova nella produzione il suo cavallo di Troia: suoni di batteria vivi, caratterizzati da ‘uscite’ che solo un drum kit acustico può garantire, e da un’ impostazione sonora che non poco rimembra quella di Portnoy in “Awake”: cassa potente e corposa, rullante non eccessivamente secco, piatti vivi e ben evidenziati dal mixaggio. Idem per le chitarre e per tutto il resto: la produzione non ha pecche, certifica che Achim Kohler (l’uomo già dietro al mixer di Primal fear e Sinner) ha svolto il tutto con classe tutt’altro che ordinaria, e getta i presupposti giusti per la realizzazione di un grande disco. Ed i Secret sphere, quando il turno è il loro, non mancano all’appello: si passa da pezzi atmosferici ed eleganti come “More than simple emotions”, episodio la cui descrizione è già stata effettuata dal particolarissimo titolo ed i cui punti di riferimento migliori sono le tastiere di Antonio Agate ed i vocalizzi di Ramon, sino ad arrivare a momenti duri, dai connotati ricchi di riffs di stampo Power-Thrash che non sfigurerebbero affatto in un lavoro di Metal Church o Vicious rumors, ma che naturalmente sono stati reinseriti in un contesto Power-Prog in maniera tale da adattarsi nella migliore delle maniere al nuovo sound dei Secret sphere. Le tastiere riempiono bene gli spazi, gestiscono spesso un ruolo primario pur non disturbando le chitarre di Lonobile e Gianotti, queste ultime ben assistite da una sezione ritmica priva di falle. Tutto funziona al meglio, a riprova del fatto che la scena italiana, se supportata da label all’altezza, potrebbe dire ben più di ciò che attualmente è in grado di esporre. Ma, effettivamente, nel nostro paese, dubito che se tutti incidessero su Nuclear Blast uscirebbero molte band all’altezza di quella dei Secret sphere. Un plauso a questo ottimo sestetto.