In trepidante attesa dall’ anno 2000, coloro che seguono gli americani Puny Human sin dall’esordio “Revenge is easy” possono finalmente mettere del pane sotto ai denti. Ed il test dell’efficacia si è rivelato ben duro, per questo quartetto comandato da Josh e Jason Diamond: innanzitutto, si tenga ben presente la validità del succitato full lenght di debutto, sempre in uscita su Small Stone come il presente “It’s not the heat, it’s the humanity”. “Revenge is easy” era dannatamente geniale, aperto, sconfinato nelle vedute. La band era riuscita a proporre un Heavy-Rock infettato dalle pesanti distorsioni dei Fuzz, a districarsi fra schizoidi composizioni, ed a chiudere alla grande l’ardua pratica del primo ellepì. E come ho detto sopra, “It’s not the heat, it’s the humanity” si è rivelato un test, severo come l’immersione di una cartina tornasole in composti sospetti, dinanzi al quale il combo ha agito con innata destrezza. Il secondo disco in studio dei Puny Human, a partire dal lavoro svolto dietro alle linee, presenta ottimi presupposti: un artwork finalmente all’altezza del nome impresso sulla cover, sempre più incentrato sulla riproposizione di immagini settantiane focalizzate sugli action-movies dell’epoca, e con un monicker stampato in bella vista che pare catapultato fra noi direttamente dal periodo sovraccitato. Ed anche di fianco ai testi, fra immagini di bionde scarsamente vestite, bikers, fiamme, rivoltelle ed automobili armate sui relativi cofani, i Puny Human dimostrano una certa coerenza nei confronti della scelta di cui sopra accennavo. Ma passiamo alla musica, che non è altro se non la traduzione su pentagramma dei concetti e delle figure da poco descritte. L’ Heavy Rock dei Puny Human è un tantino più semplice e diretto di quello che presenziava nel debut “Revenge is easy” (del quale solo la scarna front-cover desta in me un cattivo ricordo), nonchè maggiormente maturo ed affinato: si punta maggiormente sul groove, i refrain cantati da Jim Starace (assolutamente da non confondere con Storace dei Krokus!) si rivelano memorizzabilissimi anche nel corso dei primi ascolti, mentre la sezione ritmica funge da ideale piedistallo nei confronti delle distortissime chitarre di Josh Diamond, le quali trasudano un’immensa passione in direzione del Bluesy-Hard Rock nonchè un’impostazione – per quel che concerne l’effettistica – che rimembra neanche tanto vagamente le ‘usanze’ degli axeman del campo Stoner. Ma qua, della relativa psichedelia non v’è traccia: Jason Diamond, col basso messo in bella evidenza dalla volumistica (alla produzione c’è un certo Jan Noel Yuenger, il ‘tale’ che mise le mani su “The action is go” dei celebri Fu Manchu, e che ha suonato per anni la chitarra nei White Zombie) atto a riproporre linee non sempre coincidenti con quanto svolto melodicamente dalle chitarre, sforna riffs su riffs di derivazione Blues-Rock. I pezzi, poi, si assestano su livelli qualitativi medio-alti: ottimo il duo d’avvio, composto da “Champagne minivan” e da “The toos”, mentre il picco del disco si raggiunge – a mio avviso – con “Even now we are preparing to love you”. Immergetevi in “It’s not the heat, it’s the humanity”, e preparatevi ad assistere ad una pellicola dove gli anni settanta e le loro più movimentate scene riguardanti rivoluzioni sociali, crimine e belle donne vi assaliranno in un sol colpo.