Dopo svariati anni di gavetta, per i thrashers italiani Pigspeed è giunta l’ora del primo contratto. Si tratta di Videoradio (Linea metal), label distribuita, in questo caso, da Fonola dischi. La situazione, che finalmente potrebbe portare il quintetto al primo passo verso il mainstream nostrano, mette in luce la band alla presa con una dozzina di thrash principalmente incastonati fra il thrash metal anni ottanta (Exodus, Anthrax, con particolare riferimento, appunto, alla Bay area), minuti riferimenti al thrash tedesco di stampo Sodom – Destruction (più che per l’uso monocorde delle chitarre che i secondi fra questi avevano, per l’estremismo messo in atto nelle sfuriate del disco), e forti cenni sonori ai Pantera di metà corso (“Vulgar display of power” – “The great southern trendkill”). In effetti, quanto presentato dalla formazione in questione non fa che amalgamare a dovere le suddette influenze, traendone una miscela stilistica perfettamente accostabile a quanto eseguito da altri nomi dell’underground thrash italiano (vedi Brain dead e Ciompo rock, i primi per l’impostazione di riffs e strutture, i secondi per l’impronta aggressiva). Il chitarrismo, intelligente, ben strutturato, non fa che richiamare un altissimo numero di influenze, passando da rari ma ottimi dosaggi di passaggi in armonico che a tratti richiamano implicitamente il death, e fraseggi tipicamente Slayerani (la band di Araya ed Hanneman è sempre dietro l’angolo). La varietà dei pezzi è allarmante, ottima per quanto viene conferito a “Don’t bring my soul”, ma avente anche un effetto piuttosto dispersivo su di esso. In effetti, se la furia di pezzi come l’opener “Mellow yellow” farebbe pensare ad un lavoro granitico, unidirezionale, momenti come quello della title track, “Pride”, o la debole “Bloody minds” richiamano un’attitudine prettamente affiancabile al southern metal di Phil Anselmo e soci, mostrando un songwriting che, anzichè puntare su sfuriate chitarristiche, predilige passaggi tortuosi, lenti, ma sempre pronti a richiamare con evidenza il thrash di Exodus o Testament non appena la band dimostri di voler passare su vari strati di esposizione (vedi il riff che “Pride” propone intorno a 2:50 di durata). In poche parole, un calderone di generi, influenze, citazioni, nel quale la band, tramite momenti come “Angel” o “Internal suffering”, mostra un’ottima lezione di thrash metal multidirezionale, finendo però a tratti limitata dall’eccessivo intercalare fra stili spesso in frapposizione fra loro. Un altro suggerimento, invece, potrebbe essere quello di variare lievemente lo stile vocale, spesso troppo a cavallo fra parti basse, vocalizzi a’la Phil Anselmo, e rari ma forzati scream vocals (vedi quelli contenuti in “Internal suffering”), magari passando su di un “grattato” thrash a’la Baloff – Billy – Araya, cosa che proporrebbe per certi versi linee vocali ben più amalgamabili a quanto la band suona. Il disco è maturo, valido, ma il passo definitivo, a mio avviso, i Pigspeed devono ancora farlo.