I Pearl Jam sono il baluardo del rock anni ’90. Suonano ormai da oltre una dozzina di anni e dopo aver messo a segno, con “Ten”, un capolavoro del periodo grunge, continuano a imperversare, con più o meno supporto pubblicitario e dei mass media, nella scena. E dopo tutto questo tempo, le cose cambiano. Non sperate di trovare in questo disco le cose perse già dai tempi del buon “Yield”: non vi è traccia del rock dinamico e giovanile di “Black” o “Corduroy”. I Pearl Jam, volenti o nolenti, sono una mainstream rock band. Il fatto è sinonimo di un rock non d’avanguardia o sperimentale, ma di canzoni finto-intimistiche e rock d’autore: i Pearl Jam, per mio dispiacere e punto di vista, non possono considerarsi come i Re di una scena alternative cresciuta perchè hanno saltato la barricata; probabilmente, personaggi come Eddie Vedder, singolari in ogni posizione politica e morale, nonostante tutto non riescono ad allontanarsi dalle grandi masse. Ma tutto ciò non è un difetto, non almeno per chi considera il successo un fattore privo di influenze sul modo di suonare. “Riot Act” non contiene dei grandi singoli o tormentoni, “I am mine” non credo che, nonostante la programmazione “dovuta” su Mtv, diventerà il video di punta del rock 2002, e alla fine si dipana bene tra pseudo psichedelie e umori cantautorali. Il gruppo ormai si avvale di un’altro ex-giardiniere, Matt Cameron, che onestamente trovo sottovalutatissimo e poco sfruttato in mezzo alla marea di 4/4 partoriti dalle ballate rock di Stone Gossard.. Eddie Vedder, infine, è lì. Canta come sempre, con il suo vocione vibrante ed emozionante, pieno di sentimenti, il ritratto di un artista sofferto e sofferente che ama il suo pubblico. Tanto bravo, tanto pulito, tanto generoso da sembrar finto… A voi le considerazione a riguardo. Se trovate “Binaural” un bel disco, allora ve lo consiglio perchè è migliore. Se trovate i Pearl Jam una scomoda band sin dai tempi di “Versus”, allora compratevi i Trail of dead.