Old man’s child – In defiance of existence

Se devo essere sincero, la fiducia che nutrivo nei confronti degli Old man’s child, dopo l’ingresso del loro leader Galder nella line-up dei Dimmu Borgir, e dopo la release dello scialbo ellepì “Revelation 666: The curse of damnation”, era decisamente flebile. Sarà perchè credevo che Galder non potesse più mantenere alta l’attenzione sul suo progetto – peraltro in vita dal 1989 – , o forse tutto dipenderà dalla parabola discendente che rappresentava la qualità dei full lenght usciti per mano degli Old man’s child a partire da “Ill natured spiritual invasion” in poi. Tutte chiacchiere, e mentre l’attesa relativa al futuro lavoro dei Dimmu Borgir inizia a farsi opprimente, ecco che Galder entra nei Fredman studios con un budget ricco ma da spender bene, e ne esce – coadiuvato dal decoroso supporto del drummer Nicholas Barker, già suo compagno nella formazione di Shagrath e Silenoz – con un prodotto il cui sapore non è miracoloso, ma fa trasparire assai bene l’ indiscutibile abilità del cuoco che l’ha sfornato. In arte Galder, nella vita reale Thomas Rune Andersen, un nome – il suo – in cui è racchiusa la linfa vitale di un combo, quello degli Old man’s child, dal quale sono passati musicisti d’alto calibro come Gene Hoglan e Tjodalv. E se fino al vituperato ma efficace “Ill natured spiritual invasion” gli Old man’s child erano stati sinonimo di buone uscite discografiche, includendo di diritto fra queste il seminale “Born of the flickering” del 1996, la forte e marcata componente Death-Thrash rischiava di prendere – soprattutto in “Revelation 666: The curse of damnation” – il sopravvento sulla matrice madre del sound di questi, il Black Metal. E le intenzioni di Galder, su “In defiance of existence”, non cambiano di una virgola: il Death-Thrash corposo che aveva macchiato di nuova linfa i precedenti due full lenght prodotti dagli Old man’s child rischia ora di divenire il punto fermo del loro sound, la muraglia dinanzi alla quale rimaner decisamente fermi o prendere spunto per nuove direzioni future. Ma l’evoluzione della band sembra essere ad un punto morto: Nicholas Barker sfodera uno dietro l’altro esempi di pura tecnica percussionistica, radendo al suolo il drum kit con tocchi in realtà accarezzati ma precisi come fendenti, e tralasciando talvolta la semplicità a favore della ricercatezza; Galder non muta di una virgola la propria impostazione, anzi la arricchisce tramite la partecipazione, in veste di guest su alcune tracks, del chitarrista Gus G, ascia degli svedesi Dream Evil. Le songs, inoltre, si dipanano sulla stessa scia seguita da quelle contenute nei lavori più recenti della band nordica: evocative linee di tastiera, sfuriate Black Metal mai minimali, breaks tetri e ripartenze Thrash frequenti, precise a mo’di lancetta, e forse troppo insistite. Se questa ricetta vi piace, il cuoco di cui sopra troverà in voi clienti fedeli e soddisfatti; in caso contrario, seguite pure il mio consiglio e cercatevi “The pagan prosperity”, secondo full lenght degli Old man’s child, nonchè migliore incarnazione del loro ‘primo periodo stilistico’. A mio avviso, “In defiance of existence” è lievemente inferiore, a fin dei conti, rispetto ad “Ill natured spiritual invasion”, pur sollevando di netto le sorti della band, offuscatesi dopo la release del mediocre “Revelation 666: The curse of damnation”. Un’ avvertenza: non fatevi ingannare dallo splendido incipit del lavoro: “Felonies of the Christian art” e la successiva “Agony of fallen grace” sono splendide, ma la parte centrale di “In defiance of existence” è ostica, mal scorrevole, persino piatta e destinata a risollevarsi su livelli ottimali solamente con l’arrivo della conclusiva “Life deprived”. Una buona dose di Black melodico di medio-alta fattura che placherà l’astinenza, o meglio la rimanderà, a chi dal 2001 sta aspettando con bramosia un successore di “Puritanical euphoric misanthropy”.