Quando a volte mi viene rivolta la critica di ascoltare generi musicali che normalmente annoiano mi chiedo “ma come mai? Io non m’annoio mica, anzi!”, ma capita, a volte, di rendermi conto che effettivamente il prog rimane un genere di nicchia, talvolta nicchia troppo ristretta per poter riuscire a conquistare chi non conosce l’ambito musicale. Purtroppo il discorso di poc’ anzi calza a pennello per il disco degli Ohm, band che annovera tre musicisti di bravura straordinaria, ma che purtroppo si producono in lunghissime jam session strumentali davvero difficili da digerire. Sia chiaro, fossimo stati in una rivista prog, piena di lettori iper-esaltati, il mio giudizio sarebbe stato ben diverso, ma visto che, come giusto, non ci si fossilizza soltanto su un genere escludendo a priori gli altri il giudizio generale non può essere che molto riduttivo, riduttivo perchè risulta impossibile farsi piacere questo disco se non si ha una dimestichezza con le lunghe sessioni strumentali. In particolare il fatto di presentare canzoni senza linee vocali (che generalmente contribuiscono a generare la melodia o a renderla orecchiabile) penalizza l’album in questione, anzi lo rende incomprensibile ai più. Peccato, perchè come ho già detto la band è ad un livello tecnico eccelso, a cominciare dal bravissimo bassista Robertino Pagliari, passando dal famoso Chris Poland al mostruoso (non nel senso dell’ aspetto, ma della bravura) drummer Kofi Baker. Insomma se siete progster incalliti questo è un disco splendido, prodotto splendidamente, malgrado sia tratto da una registrazione radio e suonato come meglio non si potrebbe; certi passaggi sono veramente da far accapponare la pelle. Però a meno che non siate membri della categoria citata, alla fine vi annoiereste o non riuscireste nemmeno ad arrivare a metà disco, perchè purtroppo la fatica degli Ohm risulta un’ opera eccelsa, ma soltanto per pochi, anzi pochissimi.