No return – Machinery

La parentesi su Listenable / Kodiac records, per i No return, si era presentata come un intermezzo infelice, quasi colpevole di aver coperto un’uscita discreta come quella di “Self mutilation” tramite una promozione occultatrice, indegna per una band che, in dieci anni circa, ha prodotto episodi importanti per il thrash metal europeo. La svolta elettronica, definitiva, netta, modernista optata dai No return con il succitato nonchè precedente disco era stata infatti relegata, in quanto a consensi, ad una manciata di recensioni positive: fattostà che il disco, per i più, è stato introvabile a causa di una promozione indegna, ed alla band, a questo punto, occorreva un elemento in grado di ribaltare la situazione. Non c’è voluto molto, poichè Nuclear blast, label sempre più capillare nel settore metallico, si è accaparrata le prestazioni del quintetto transalpino, seguendo la release di “Machinery”. Il disco appena citato non fa che accompagnare il dinamismo voluto dalla band: chi sinora li aveva visti come un’estremizzazione del thrash/death di “Beneath the remains”, o chi li voleva far apparire come una versione più ottantiana dei Fear factory dei primi lavori, si è dovuto ricredere, in quanto la band ha assestato nuovamente il tiro con sicurezza, facendo decantare il proprio sound su di un thrash/death d’effetto, con parti cariche di dosati ed intelligenti blast-beat, e con un utilizzo dell’elettronica ben più ragionato rispetto a quanto fatto su “Self mutilation”. La band, tuttavia, non è affatto tornata sui livelli di “Psychological torment”, sebbene le doti messe in mostra sul qui presente songwriting siano d’innegabile qualità: la componente “alienante”, modernista, volta a sprazzi dirompenti elettronici, infatti, è stata qui rimaneggiata, relegata ad un ruolo di contorno, in quanto le chitarre del duo Antonia / Clement sono state spostate decisamente in primo piano, mentre la parte dinamica del songwriting è toccata ad un palese incedere di partiture death metal, qui in netto vantaggio numerico sulle proposte thrashy, ed a una minimale ma avvertibile quantità di elementi semi-psichedelici, come gli intermezzi di “The last act” o l’avvio della interessantissima “Resurrection”. Ottimi a tutti gli effetti, invece, sono gli episodi di “The recycler”, “Machinery”, o la magnifica cover di “Secret face” dei Death, song tratta da “Human” e ben adattata a metà fra lo stile delle due band coinvolte, a partire dai vocalizzi di Petit, qui ben accostati al piano canoro di Schuldiner senza disturbare le linee di esecuzione sinora esposte dai No return. Il disco denota un esplicito miglioramento rispetto a quanto fatto su “Self mutilation”, e grazie all’ “assistenza” di una label impeccabile come la Nuclear blast, la formazione francese potrà andare ben oltre quanto riscosso sinora.