L’importanza capitale che i Ministry avevano guadagnato all’inizio dei ’90 è andata via via offuscandosi, e dopo il disco live “Sphinctour” del 2002 non tutti si sarebbero aspettati un disco come “Animositisomina” in così poco tempo. “Mi sono incazzato e sono tornato…” è la frase che il padre-padrone Al Jourgensen ha citato in più interviste, una frase che sommariamente elargisce una vasta scala di impressioni/premonizioni su “Animositisomina” sia nei suoi pregi che nei suoi difetti. Il palindromo che da’ il nome al disco non è scelto a caso o per semplice ricercatezza, calandoci nei solchi digitali del cd una delle prime cose che colpisce è il gusto e la componente “circolare” della musica: non esiste un picco o una discesa, ma un moto continuo, un loop, che possiede un senso leggibile da qualsiasi punto di vista. I Ministry, come nessun altra band, non necessitano a priori di un’interpretazione: la musica è sempre minimale, schermata da suoni calorosamente elettronici e freddamente vintage, un miscuglio cyberpunk, caratterizzato da elementi banali ed innovativi, capace di divenire per l’ascoltatore una sorta di lente distorta attraverso la quale modulare la realtà. “Animositisomina” non vuole essere un disco di rivoluzione musicale, riprende a mio giudizio molte delle peculiarità di “Psalm69” e non si avvale in modo evidente delle tecnologie del nuovo secolo sia nella produzione che nei suoni, ma riesce comunque a far sentire la propria presenza ammaliando l’ascoltatore con pezzi convincenti e ben construiti. La base ossessiva e volutamente ripetitiva di molti costrutti industrial degli anni passati in questo disco perdono valore e vengono soppiantati dall’animo sibilante e nervoso del disco che alterna canzoni di furia (“Broken”) come viaggi al limite della psichedelia elettronica (la splendida strumentale “Leper”). Infine, “Animositisomina” è sicuramente un buon ascolto ideale per i fan di lunga data e per i nuovi “abdotti” della band che vogliono qualcosa di nuovo e di vecchio in un colpo solo.