Premessa: 1997-2003. Un autentico abisso. I fan dei Metallica si saranno disperati, osservando l’uscita del successore di “Reload” slittare sino a date mai definite. Se di “Chinese democracy” si parlava costantemente, leggendo possibili date di messa in commercio, e quindi immaginando che i pezzi fossero già pronti, nel caso di “St. Anger” poco di concreto si è saputo fino al 2002. Ovvero, dopo ben tre anni di silenzio assoluto da quel “S&M” che, francamente, aveva tutt’altro che saziato la fame di inediti dilagata in tutto il mondo come un’ epidemia vera e propria. Ma i Metallica già avevano abituato tutti a questo tipo di cose, quando nel 1991 misero alla luce “Metallica” (il cosiddetto ‘Black album’) per poi sparire in lunghe ed interminabili tournèe. Dopo cinque anni venne “Load” (a mio sindacabilissimo avviso, il loro miglior disco degli anni ’90): questa volta, ne abbiamo dovuti attendere altri sei, di anni, per poter ascoltare qualcosa di nuovo che fosse partorito dalle menti di Lars Ulrich e James Hetfield. E per celebrare l’evento, abbiamo deciso di mettere a vostra disposizione svariate recensioni del disco, ossia quelle che seguono… (Marco “Dark Mayhem” Belardi)
Recensione a cura di: Marco “Dark Mayhem” Belardi
La rabbia che i Metallica esprimono col titolo del loro nuovo full lenght ha un significato ben preciso: è quella che provo io, e che credo proveranno molte persone in giro per il mondo nel corso dei prossimi giorni. Aspettavo questo disco dal 1997, o meglio dal mese di novembre di quell’anno, periodo in cui acquistai “Reload” praticamente nel giorno della data di release, all’ apertura dei negozi di musica della mia città. E sono trascorsi ben sei anni, un periodo tutt’altro che compresso in cui i Metallica hanno avuto tutto il tempo necessario per produrre materiale a sufficienza per la composizione di due o tre full lenght, o per radunare le forze al fine di sfornarne uno solo che fosse però all’altezza del monicker impresso sulla relativa copertina, e che concentrasse il meglio delle idee in transito all’interno delle menti dei quattro musicisti residenti in California. E dopo tutto questo tempo, il bicchiere è ancora una volta mezzo pieno, ma soprattutto mezzo vuoto. E così, la band che mi ha iniziato al Metal con il “Ride the lightning” che fu torna sulle scene con un sacco di promesse, come è di consueto nella vituperata tradizione di Lars Ulrich e soci: il vociferato ritorno al Metal è stato un’ utopia per molti, ma alla fine si è rivelato una promessa mantenuta. Perlomeno in parte, con le dovute clausole scritte a caratteri minuti di cui ci si accorge sempre troppo tardi. “St. Anger” è un disco dannatamente Metal, ma anche fottutamente ruffiano nei confronti dei trend del momento, nonchè dei fans del vecchio corso degli Horsemen di San Francisco, tornati per l’occasione quattro tramite l’innesto del bassista Robert Trujillo, ex four strings di Suicidal tendencies ed Ozzy Osbourne (che comunque non appare su disco, essendo egli giunto troppo in ritardo alla corte di Hetfield e soci rispetto al periodo della composizione del disco). Le premesse c’erano tutte: un logo spigoloso come ai vecchi tempi, decine di sampler in giro per la rete che attestavano la veridicità della pesantezza del lavoro proponendoti però solo ciò che la band voleva svelare in anticipo, e tante recensioni ultra-positive scritte da illustri giornalisti del settore Rock che poi, alla luce dei fatti, hanno confermato che in tal sede erano state dette solamente un sacco di impunite cazzate, specie per ciò che riguardava la qualità delle song, e non tanto per lo stile descritto da certi individui che alcuni insistono a definire “professionali”. “St. Anger” è questo: è il disco che farà più di tutti gli altri muovere l’opinione generale, ed è soprattutto ciò che dividerà ampiamente la critica in un periodo in cui si parla di uscite discografiche per concorrenti di lusso come Guns ‘n’ Roses (con la telenovela relativa a “Chinese democracy”) e Marilyn Manson. “St. Anger” è una mina vagante caricata a salve, è una sofisticata arma capace di non centrare l’obiettivo da meno di due metri di distanza pur esplodendo un botto enorme dall’alto del suo possente calibro. Si, poichè lo stile c’è tutto: i Metallica hanno sfregiato la produzione, Lars Ulrich ha dato un’ impronta viva e violenta – quanto discutibile – alla sua batteria, con suoni secchi sul rullante in ottone usato per l’occasione(il materiale è riconoscibile attraverso il particolare effetto di rimbombo espresso dai singoli beats), e con un Kirk Hammett in accompagnamento che ha sporcato quanto era possibile sporcare, coadiuvato dal supporto suicida di Bob Rock, e del relativo Pro Tools. I suoni della sua sei corde sono minacciosi, pieni e chaotici, corposi ma meno supportati dalla metà ritmica chiamata Bob Rock (il celebre produttore che si avvicinò ai Metallica col ‘Black album’) rispetto a quanto accadeva con il ‘Voivod’ Jason Newsted, con il basso ora maggiormente libero di spaziare e di risaltare la sezione ritmica, in vista naturalmente dell’ innesto di Rob Trujillo, ancora datore di frutti solamente in sede live. E James Hetfield, più aggressivo rispetto al recente passato, fa piangere se si pensa al singer che incise le linee vocali di “Master of puppets”, e fa sorridere quando ne notiamo il sensibile miglioramento rispetto al periodo della seconda metà dei nineties. “St. Anger” fa accavallare l’ascoltatore fra il rimpianto e la gioia: da grande estimatore di “Load” quale io sono, pur considerando che in “Reload” erano presenti svariati pezzi d’ottima caratura (su tutti “Prince Charming” e “Bad seed”), viene da esultare dinanzi allo stile di “St. Anger”, così fresco e potente, ma anche ruffiano e sinistro al cospetto degli occhi più dubbiosi. Un suono decostruito e poi ricostruito ex novo, levigato a fondo ma mantenuto naturale come un diamante grezzo. Sull’altro piatto della bilancia, il grave che fa affondare la bontà di questo ottavo platter di inediti dei Metallica: pezzi spesso scarni, privi di mordente, faticosi nel librare in volo. Talvolta molli, persino statici. Brani lunghi, interminabili come nel caso del singolo “St. Anger” (un pezzo dalla durata contenutissima il cui corso è stato praticamente triplicato al fine di ottenere un brano che fosse lungo quanto quelli di “…and justice for all”; ossia, una scelta tendenziosa e discutibile), che tanto mi aveva fatto sussultare di positività quando giunsi al suo ascolto mediante i sampler e, successivamente, tramite il canale MTV, che oggi ne propone il clip con una frequenza che ha in sè del parossismo. Ma andiamo con ordine: chi sperava nel ritorno dei riffs Thrash dovrà rinunciare agli assoli di Hammett, qui totalmente assenti, ma troverà subito pane per i suoi denti, sebbene in quantità assai contenute. “Frantic” parte in tal senso, con un incipit thrasheggiante e con tanta aggressività, con ritmi up-tempos e con riffs che si alternano fra loro con una frequenza incredibile. Poi giungono i problemi, vedi la mancanza di un refrain decente o perlomeno capace di rendere omaggio ad un così buon episodio, oppure quel finale al fulmicotone che tanto in ritardo va a donar varietà e verve alla canzone. “St. Anger” già la conoscevamo, e personalmente l’ho trovata entusiasmante quanto non esente da pecche. Le parti veloci sono totalmente slegate dal resto, sembrano quasi forzate e non si amalgamano bene assieme alle fasi mid-tempos ed ai momenti più rocciosi della song: la partenza in quarta vede una scalata di marcia istantanea, fastidiosa e tendente alla riproposizione degli stilemi canori tanto in voga adesso nel Metal-Rock alternativo, alias, per l’occasione, Nu Metal. Poi si passa alle sfuriate, ad un ritornello splendido, a continui cambi di atmosfera. Un pezzo quasi epocale, ovviamente solo per i Metallica di oggi, ma assai ripetitivo se osservato da un’altra ottica. E quando sembra che i giochi siano fatti, si volta pagina e si assiste a tanto orrore. Dopo questa splendida copertina composta dai due brani d’avvio, il libro si fa illeggibile e stracciato ai lati, ed il disco capitola con “Some kind of monster”: otto minuti e mezzo di durata che scorrono nella noia totale, riportando minacciosamente a galla i riffs sabbathiani che un po’ tutti, in “Load” e “Reload”, avevano ingiustamente odiato, ed alternando al tutto linee vocali sterili ed una sezione strumentale vulnerabile, persino a riferimenti volti alla riproposizione parziale degli stilemi dei Corrosion of Conformity di “Wiseblood”. “Dirty window” prova a salvare il disco, e sul momento ci riesce anche: il pezzo, assai simile ai momenti più violenti di “Reload”, annovera a differenza di essi una produzione potentissima ed un’attitudine Metalcore sul bridge a base di ritmiche lente. Poi, le fasi up-tempos rendono onore ad un’ottima canzone, quasi motorheadiana a tratti, anzi modernissima sotto molti aspetti. E i Metallica, visibilmente orgogliosi di questo suono ignorante come non mai, vanno in debito di ossigeno e di idee: “Invisible kid” e “My world” rendono assai poco onore al disco (sebbene “My world” cresca esponenzialmente col passare degli ascolti), poi “Shoot me again”, nonostante una schiacciante velocità ritmica che a tratti viene a galla quasi con fare timido e dubbioso (ossia proponendo un’arroganza che sa di tutto tranne che di convinzione da parte della scelta attuata dai Metallica in tal sede), è forse uno dei peggiori brani del lotto intero, e gli fa fortunosamente da controaltare “Sweet amber”, una piccola perla capace di emergere dalla fanghiglia sino ad allora intravista: il pezzo è veloce, ricco di riffs Thrash e distante dall’attitudine più punkeggiante di certi Entombed (“Same difference” su tutti) apparsa in maniera introspettiva – dunque persino a tratti – sino a quel momento. “St. Anger”, a conti fatti, è un disco Metal che porta gran freschezza stilistica ai Metallica (cose comunque già sentite e risentite, vedi i White Zombie di “La Sexorcisto”), a cui giunge ulteriore sollievo da parte di un’ enclosure di lavoro in cui due pezzi su tre non falliscono il tiro (vedi le ottime “Unnamed feeling”, enigmatica ed atipica, e la finale “All within my hands”, a dispetto di una “Purify” scialba e inconsistente). Ma basterà il Metal a convincere i fans? Io ne dubito fortemente, anche se sono convinto che l’entusiasmo derivante dall’assenza di nuovi album dei Metallica, durata sei lunghissimi anni (escludendo “Garage inc.” ed “S&M”, in cui abbiamo trovato due soli inediti – “No leaf clover” e “Human – Minus Human”, più il postumo singolo “I disappear”), aiuterà non poco la riuscita dell’ autopromozione di questo lavoro. Ma fra due anni ne parleremo ancora? Lo ascolteremo ancora? Mi sto ponendo troppe domande, e ciò è solamente prova dello scetticismo che nasce in me a riguardo. “Load” l’ho adorato – ma non dal tempo della sua release – e lo stimo tutt’ora, di “Reload” apprezzo esattamente lo stesso numero di pezzi che apprezzo in “St. Anger”: e se in “Reload” vi erano perlomeno tre grandi canzoni, qui ne individuo solamente una, al massimo due se volessi essere di larga manica. Fate un po’ i conti, e valutate se acquistare o meno un disco che, comunque vada, venderà milioni di copie con o senza il vostro aiuto.
Voto: 6,5
Marco “Dark Mayhem” Belardi
Recensione a cura di: Fearxes
Eccoci dunque al tanto atteso disco, a quel fortemente voluto ritorno dei quattro cavalieri d’oltreoceano che sempre sono riusciti a mantenersi sulla bocca di tutti, nel bene e nel male, nel buono e nel cattivo tempo, in aria di crisi e negli anni di gloria. Un nome, un’icona scolpita nella mente del popolo metallaro, e non solo. Sì, perché se nel 2003 siamo arrivati al punto di vedere rapper e bambinelle pop star coverizzare alcuni dei famosi pezzi dei Metallica, con la soddisfazione generale dei diretti interessati, vuol dire che di strada ne è stata fatta. Un fenomeno capace prima di portare il Thrash Metal nei cuori dei metaller di tutto il mondo grazie a quattro colossali album, poi di buttare a cani e porci una carrellata di uscite prive di significato, il tutto perché a dettar legge non era più il cervello, bensì un piccolo ma potente simboletto cotanto ambìto: $. Fino ad arrivare ad un presente che riesce ancora a far trepidare milioni di thrasher bramosi di ascoltare “St. Anger”, il disco da mesi indicato come il ritorno al thrash, o meglio la svolta verso il death, viste le dichiarazioni di Bob Rock che vedeva nel nuovo capitolo dei four horsemen un accostamento agli Entombed. Ma Bob Rock lo sa chi sono gli Entombed?! “St. Anger” vede stilati undici brani per la durata complessiva che supera i 75 minuti, nei quali poco importa se troviamo thrash, rock, stoner, crossover o chissà quali altre influenze, poco importa se la produzione è strana e il rullante è suonato senza corde, poco importa se Hetfield ha cambiato modo di cantare o se Bob Rock è meglio di Newsted al basso. Quel che importa è che la presa per il culo continua nel suo processo inarrestabile! Cos’è ‘sta roba? Ritornare al passato vuol dire solamente indurire il suono e puntare tutto sugli stacchi sui crash di Ulrich? Via ragazzi, non ci prendiamo in giro. I Metallica sono morti nel 1988, oggi dietro al monicker l’unica cosa che gira sono i soldi in crescita esponenziale grazie alle varie cause contro Napster, ai dischi iper-commerciali che infangano le dimenticate origini ed agli atteggiamenti da rock star. Prendete pure questo come un mio personale commento, non come una recensione, visto che non sono in grado di giudicare traccia per traccia un album come questo e darne un giudizio definitivo. Chiedo scusa.
Voto: non classificabile
Fearxes
Recensione a cura di: Brown Jenkin
Quattro lunghi anni, quattro lunghi anni dal discusso S&M e un’infinità di voci, smentite e falsi scoop. Quattro lunghi anni di attesa dovuti in parte alla lunga ricerca di un nuovo bassista, in parte alla lotta di James Hetfield contro i fantasmi del passato. L’unica certezza, prima dell’uscita di questo St.Anger, è che i Metallica sono cambiati, così come erano cambiati nei primi anni ’90, quando vide la luce il tanto osannato Black Album. Jason Newsted, colui che riuscì a prendere le redini al posto di un certo Cliff Burton, ha deciso di abbandonare la band provocando commenti da una parte delusi per aver perso un membro storico di una storica band, dall’altra piuttosto entusiasti perché finalmente il bassista aveva capito che i Metallica non avevano più alcun futuro e si erano “rovinati”. Fatto sta che il quartetto statunitense ha perso un ottimo membro, che forse era stato schiacciato dalla vena compositiva di Ulrich ed Hetfield, ma che si era sempre distinto per la sua bravura; la scelta del sostituto fu appunto molto difficile, con molti nomi sussurrati, tra i tanti quello di Twiggy Ramirez, lo stesso Bob Rock e Rob Trujillo che alla fine si rivelò quello giusto. Compito difficile, dunque, quello del mastodontico ex bassista del madman Ozzy Osbourne, che si è ritrovato in una realtà decisamente vasta come quella dei Metallica. Ad ogni modo, tornando a St.Anger in sé, le voci che si erano alternate erano molteplici: anche per la mancanza di un vero e proprio promo che potesse chiarire le idee, si diffusero notizie più o meno vere, finti mp3 contenenti brani del nuovo album (in realtà una bufala) e così via. Le principali fonti di notizie prevedevano comunque un ritorno a sonorità prettamente Thrash, ritorno che sinceramente non ritenevo possibile per il discorso fatto in precedenza, e visto che difficilmente i Metallica di oggi potrebbero accostarsi dal punto di vista musicale a band come Tankard, Testament e via dicendo. La prima notizia ufficiale fu data dall’annuncio del titolo: St.Anger, un titolo che suggeriva se non altro un ritorno a riff e assoli arrabbiati, ad un cantato meno pulito e più urlato; la seconda new fu data dalla comparsa della copertina, piuttosto inconsueta per i Metallica, visto che si trattava quasi di un manifesto ispirato alla pop-art. Finalmente, dopo una lunga attesa, ecco l’uscita dell’album vero e proprio, accompagnato dal video della title-track del disco, girato nel carcere di San Quintino; alla prima impressione era confermato il ritorno ad un sound più rabbioso che in passato ma si notava immediatamente un notevole ammodernamento musicale. Ciò che balza subito alle orecchie è la totale mancanza di assoli da parte di Kirk, inoltre il suono delle chitarre è estremamente asciutto e piuttosto tagliente, molto ‘metallico’ invece il suono del rullante di Lars. Il primo tratto nuovo di St.Anger influisce pesantemente sul disco, gli altri due fattori altrettanto: il suono delle chitarre è decisamente inconsueto per quello che i Metallica ci avevano fino ad ora abituati ad ascoltare; il suono del rullante è invece a mio avviso molto fastidioso, troppo squillante e acuto per adattarsi al resto degli strumenti. L’opener Frantic si apre con un riff molto pesante che duella con le pelli, un riff che strizza l’occhio alla nuova corrente metallica (in particolar modo, avrò modo di ripetere più volte che alcune parti di chitarra mi ricordano molto i System of a Down), e prosegue con un cantato del tutto nuovo per James Hetfield: se nelle strofe mantiene la rabbia caratteristica, nel ritornello canta in modo molto pulito, con un coro decisamente moderno. In conclusione, Frantic è un’ottima opener per far capire ai fan quale strada hanno deciso di intraprendere gli statunitensi, strada che dal mio modo di vedere strizza molte volte l’occhio alla corrente Nu, conservando tratti più antichi e rabbiosi. La title track si mantiene sulla linea guida dettata da Frantic: sempre piuttosto fastidioso il suono delle pelli, ancora un riff portante molto massiccio ma piuttosto breve, ancora una volta mancanza totale di assoli di Kirk. Con la terza traccia, Some Kind of Monster, iniziano i dolori, dettati soprattutto dall’eccessiva lunghezza: a mio avviso uno degli errori più evidenti di St.Anger non è stato quello di puntare su un ammodernamento del suono, ma quello di presentare canzoni eccessivamente lunghe, che basandosi però su pochi riff chiave e su altrettanto pochi assoli finiscono con l’annoiare a morte.
Il resto dell’album infatti è caratterizzato da tracks eccessivamente lunghe e veramente pesanti da ascoltare, eccezion fatta per le belle Sweet Amber e Dirty Window. La prima, che all’interno del disco prende posto al numero otto, è rabbiosissima e decisamente esplosiva, Hetfield canta con una voce molto aguzza e penetrante, sinistro il ritornello e bello il riff portante; si fa sentire spesso anche il bassista Bob Rock. Dirty Window dal mio punto di vista è la migliore traccia del disco: con uno strepitoso riff che trae decisamente ispirazione dai Black Sabbath in epoca Dehumanizer, con rallentamenti mai fuori luogo e di grande effetto, con un’ottima prova da parte di tutti i membri della band. Come si è detto, le altre tracce del disco, pur presentando tratti interessanti, sono fin troppo lunghe e finiscono con l’annoiare anche dopo alcuni ascolti. Per quanto riguarda un giudizio di sorta sul disco, è necessario mettere bene in chiaro le carte. Se siete fan accaniti dei Metallica prima maniera e ritenete che i ‘tallica siano bolliti e che l’ultimo album degno di nota sia stato And Justice For All, evitate assolutamente di comprare questo disco, rimarreste delusi e l’unica rabbia tanto proclamata dai promotori sarebbe la vostra. Se invece avete perfettamente compreso che i ’tallica di un tempo non possono più tornare, ma che anche un corso più moderno può essere ugualmente interessante, acquistate pure questo disco, non dovreste pentirvi. Dal mio punto di vista, come potevo immaginare i Metallica sono cambiati nuovamente rispetto a Load e a Reload, rispetto al penultimo album in studio decisamente in meglio, senza però trovare una canzone chiave in grado di fare breccia come potevano essere Hero of the Day e Fuel. Non mi sembra eccessivo parlare di un accostamento a sonorità nu-metal, e giustifico la mia affermazione: il nu si basa fondamentalmente su riff, spesso interessanti, e su parti cantate che poco hanno a spartire col metal, rarissimamente compaiono assoli e le canzoni sono piuttosto brevi; i Metallica con St.Anger si sono affidati a riffs portanti molto pesanti, tralasciando quasi del tutto l’estro di Hammett, hanno introdotto inoltre parti cantate pulite che spesso appaiono del Nu. Il fattore che non convince, però, è proprio la lunghezza troppo eccessiva di tracks come la citata Some kind of monster; probabilmente i Metallica hanno cercato di rimanere fedeli in minima parte al loro vecchio stile di fare musica, ma vuoi per la parte molto ristretta ricoperta da Kirk, vuoi per una mancanza di ispirazione non ci sono riusciti. Episodi interessanti ve ne sono, ma dagli statunitensi era lecito aspettarsi molto di più, sembra essersi asciugata soprattutto la vena compositiva, vena che né con innesti moderni, né con un ritorno al passato potrà essere ripristinata.
Voto: 6
Brown Jenkin
Epilogo: Noi ci abbiamo provato. “St. Anger” sarà sicuramente uno dei dischi più difficili dell’anno, dimezzerà la critica ma ne unirà a grappoli tante parti. Vi consigliamo, francamente, l’ascolto di questo disco: non pochi sono i pareri positivi che ho personalmente sentito su “St. Anger”, non poche sono le parole che però circolano dimezzandone la reputazione. Io dico che ognuno dovrebbe sentire questo lavoro e giudicare personalmente: le recensioni, in questo caso, basteranno a soddisfare solo alcuni aspetti descrittivi. In ogni modo, speriamo di esservi stati d’aiuto! (Marco “Dark Mayhem” Belardi)