Non so quanto convenga ai tedeschi Majesty essere così assiduamente paragonati ai quattro Kings of Metal Newyorkesi. Stabilito in primis che il talento di Adams, Demaio, Columbus e Logan non è “figlio” di nessuna nazione del mondo, essendo infatti un misterioso dono conferito loro dagli Dei, la definizione di “Manowar Tedeschi”, troppo affrettolosamente appioppata a Majesty, è assolutamente fuori luogo. Giunto al traguardo del secondo album in studio (con all’ attivo un demo tape ed un demo cd, rispettivamente del 1998 e del 1999), il combo germanico è comunque fautore di un True Heavy Metal sound che sapientemente miscela il riffing tipico delle old Epic Metal bands made in U.S.A., con melodie tipiche di una parte dell’ Heavy Metal Tedesco, o comunque Europeo. Ciò in cui è carente la proposta musicale di Majesty, è la classica dose di rudezza manifestata in un fragore “barbarico” che ogni band di Heavy Metal epico dovrebbe sprigionare. La voce del leader, produttore nonché polistrumentista (guitars and keyboards) Tarek “MS” Maghary, è si intonata e “prodotta” accuratamente, ma risulta essere assolutamente inadatta al genere in quanto priva di particolari virtù. Le melodie vocali composte per gli otto brani presenti sull’ album, risulterebbero senza dubbio vincenti se fossero intonate da un’ugola virile ma dall’ ampia estensione (e qui rischio di essere fin troppo ripetitivo citando come al solito il principale esponente del genere…), essendo comunque impregnate di un certo flavour epico e mistico. Il feeling eroico della “Title Track”, inaugura un album in cui prevale nettamente la formula del mid tempo dall’ andamento cadenzato, soluzione che viene abbandonata unicamente in occasione del secondo pezzo in scaletta “Fields of War”, impostata su ritmi fast dettati dall’ infuriata batteria (ottima!) di Michael Grater. Quando il rock duro è “sentito” come una vera e propria religione e l’ Heavy music diviene con orgoglio ragione di vita, non credo sia necessario intitolare un brano “Heavy Metal” (del resto lo hanno già fatto S.Hagar ed i Judas Priest quattordici anni fa), magari pensando (in buona fede, sia chiaro) di far colpo su qualche ingenuo metalhead, subito pronto, al suono di quelle due (comunque) magiche parole, a paragonare i nostri ad acts di ben altro livello e caratura! E’ comunque doveroso segnalare la partecipazione di Ross The Boss in veste di special guest all’ interno di questo brano, autore di un vorticoso assolo chitarristico. “Epic War” e “Ride Silent” sono due tracks dalle atmosfere più sofferte e drammatiche, la seconda in particolare, grazie ad un bellissimo guitar riffing in cavalcata, è forse l’ unico brano del lotto degno di ergersi all’ ipotetico status di “Epic Metal anthem”. L’ ascolto prosegue con un’ azzeccatissima “Fist of Steel”, perfetta fusione tra frizzanti riffs Hard ‘n’ Heavy e terzine assassine culminanti in un ritornello dall’ impatto assolutamente poderoso. La struggente ballad “Aria of Bravery” scorre via in maniera alquanto anonima (nessuno si sognerebbe di pretendere una “concorrente” capace di rivaleggiare con “Sword in the Wind”, ma almeno un frangente melodico all’ altezza…quello sì!), risollevandosi in parte grazie ad un vagamente maideniano assolo e ad un finale leggermente più intenso, mentre il ritmo clamorosamente “marziale”, in questo caso realmente manowariano, dell’ ennesimo mid tempo “Metal to the Metalheads”, va a concludere un album in definitiva interessante per tutti gli appassionati di True Heavy Metal. n discorso a parte lo merita lo splendido disegno raffigurato in copertina, opera di un certo Ken Kelly, artista che non ha certo bisogno di prestazioni avendo in passato curato mitici artworks di bands come Kiss e Manowar. Considerando che, oltre che con Manowar, questo genio è stato recentemente impegnato anche con Solemnity, Majesty ed un’ altro gruppo di cui non ricordo il nome, spero che con lui non si verifichi ciò che in passato è accaduto allo storico copertinista di svariati capolavori di Rage, Grave Digger, Blind Guardian e Running Wild, Andreas Marshall; mi riferisco all’ evidente calo d’ ispirazione dovuto alle troppe richieste di collaborazione, che inevitabilmente finirono per danneggiare il suo talento.