Kataklysm – Serenity in fire

Introduzione a cura di: Marco “Dark Mayhem” Belardi

Ennesima recensione multipla del 2004: dopo Deicide, Cannibal corpse e chi più ne ha, più ne metta, ecco il turno dei Kataklysm, con il loro “Serenity in fire”, recensiti in coppia da Matteo Buti e Fearxes. E stavolta, il netto contrasto fra i due giudizi apparsi online, con un distacco di ben tre unità fra i relativi voti (9,5 e 6,5) la dice lunga su quanto questo disco possa, e potrà far parlare di sè in maniere così differenti… Capolavoro o disco di maniera appena sopra la norma? Sentiamo… (Marco “Dark Mayhem” Belardi)

Recensione a cura di: Fearxes

I Kataklysm fanno parte della categoria di band che suonano da anni, sfornano dischi su dischi, ma che immancabilmente non riescono a produrre la magica scintilla capace di farli esplodere definitivamente sul mercato. Gli anni corrono, tanto che sembra passato un niente da quando nel 1995 uscì il primo full-lenght per i canadesi, “Sorcery”, disco che assieme al successivo e nettamente migliore “Temple of knowledge” segnò il primo periodo per la band, ovvero quello che li fece catalogare come una formazione death metal sporco e brutale. Tralasciando poi il netto cambio di stile con “Victims of this fallen world”, disco sperimentale accolto molto male dalla critica, la nuova essenza dei Kataklysm si fa avanti nel 2000 con il magistrale “The prophecy (stigmata of the immacolate)”, dal suono più pulito dei primi album e senza dubbio più diretto e catchy. Visto il grande successo riscosso con questa nuova formula il singer Maurizio Iacono e compagnia bella sfruttano l’occasione per tirarci fuori nell’arco di due anni ben altri due dischi, gli ottimi “Epic – The poetry of war” e “Shadows & dust”, grazie ai quali mi trovo tuttora nella testa colossi intitolati “Manipulator of souls”, “In shadows and dust” e “Face the face of war”. Ma se fino ad ora i risultati erano stati buoni, con “Serenity in fire” le cose si fanno serie. Ed il capolavoro non si fa attendere. Nel complesso gli ingredienti restano gli stessi, il death metal americano misto a quello svedese dai frangenti più classici non varia ma la sostanza sì, eccome. Lo stile stavolta si fa più semplice e diretto in modo da servire in tavola un prodotto compatto all’ inverosimile e straordinariamente ‘in your face’, mentre per quanto riguarda la produzione si avverte forse l’unico neo dell’intero lavoro per il mixaggio non eccelso. Ma, dico io, chi se ne importa se durante i blast-beats viene coperta lievemente la chitarra, quando ogni canzone rimane stampata in testa in eterno tanta è la bellezza dell’ intero platter? Vi assicuro che non riesco davvero a fare preferenze tra i brani, ognuno si contraddistingue dall’ altro grazie ad un’ anima propria che lo rende unico ed inimitabile: “The ambassador of pain”, “The resurrected”, “As I slither”, “For all our sins”, “The night they returned”, “Serenity in fire”, “Blood on the swans”, “10 seconds from the end”, “The tragedy I preach” e “Under the bleding sun” sono i pezzi migliori, ovvero la tracklist completa. Non m’ importa sapere niente, non conta assolutamente se Martin Maurais alla batteria usa il trigger o meno (in ogni caso per riproporre dal vivo parti del genere deve essere senza dubbio un mostro), non voglio sapere giudizi di altri, non me ne importa se la proposta non ha niente di originale: “Serenity in fire” l’ho ascoltato minimo 20-25 volte e ancora continua ad emozionarmi, per me è questo ciò che conta. Quindi prendete tutto quello che avete letto finora come qualcosa di altamente soggettivo e mettete in conto la possibilità che a molti possa pure fare schifo, ma quello che il nuovo disco dei Kataklysm è riuscito a darmi davvero in pochi altri lo hanno saputo fare negli ultimi anni. Uno dei dischi death melodico più belli di sempre.

Voto: 9,5

Fearxes

Recensione a cura di: Matteo Buti

Non me ne voglia il mio stimato collega Fearxes, ma questa volta temo proprio di non essere d’accordo con lui riguardo all’estasi con cui ha accolto l’ultima prova dei canadesi Kataklysm. Non che “Serenity In Fire” sia un brutto disco, sia ben chiaro, ma da qui a definirlo un capolavoro, secondo me, ce ne corre… Tra martellanti scariche percussive, melodie orecchiabili (anche troppo…) e graffianti linee vocali, il nuovo lavoro della band del growler Maurizio Iacono riprende le tematiche musicali che hanno caratterizzato i tre album precedenti, e basa i propri contenuti su tracce dalle strutture lineari e intrise di una fruibilità tanto marcata da poter richiamare anche i non appassionati di musica estrema. Rispetto all’acclamato “Shadows & Dust”, oltre ad un deciso calo delle velocità di metronomo, si assiste anche ad una provvidenziale evoluzione dei suoni verso timbri più naturali e meno “sintetici” che in precedenza, ma per il resto direi che lo stile dei Kataklysm è rimasto pressochè immutato. Se insomma vi sono piaciuti “Epic: The Poetry Of War” e “Shadows & Dust”, con buona probabilità vi conquisterà anche “Serenity In Fire”. Ma l’antica saggezza ci suggerisce che “de gustibus non disputandum est”, per cui se è vero che molti metal-kids possono esaltarsi di fronte alla spoglia aggressione di songs come “Ambassador Of Pain” o “The Tragedy I Preach”, dobbiamo anche osservare come il suono dei Kataklysm, così semplice da sfiorare i confini del pressappochismo, possa non incontrare i gusti del Deathster che trova motivi di gaudio nella ricercatezza tecnico-ritmica. Da parte mia, pur riconoscendo ai Kataklysm una professionalità non comune, mi schiero senza alcun dubbio tra le fila di quest’ultima categoria in quanto credo che la musica della band possa anche rimanere gradevole ai primi ascolti, ma che al contempo suoni troppo ordinaria e priva di sorprese per poter offire una buona longevità. Le melodie sono troppo stucchevoli, le ritmiche troppo scontate, gli arrangiamenti troppo deboli, le chitarre poco incisive… e con “Serenity In Fire” sembra che il four piece, anziché aver smussato questi aspetti negativi del proprio stile, li abbia esaltati arrivando a confezionare un prodotto ancor più stanco e insipido del precedente. Un passo indietro…?