Insania – Fantasy (A new dimension)

Quando si parla di musica, si sa benissimo di poter incappare in qualche sorpresa. Naturalmente, fa parte del gioco anche il fatto che esse possono risultare di natura positiva, o negativa. E quando vengo a trattare gli Insania, finalmente comprendo che nel campo del Metal neanche fra vent’ anni potrò dire di averle viste di tutti i colori. Gli Insania sono uno di quei casi rari, che ti suscitano dentro un po’ di ironia e tanto rancore: una band con alle spalle undici anni di carriera, ed un sound identico per filo e per segno a quello che gli Helloween adottarono come proprio porta bandiera persino nel lontano 1987. Con la sola differenza che, essendo il quintetto nato in Svezia, si sente ovviamente, all’ interno della loro consolidata venatura, una matrice che li ricollega con rigor di logica al filone Power scandinavo, vedi Stratovarius, Sonata arctica e compagnia bella. E queste, purtroppo, sono le recensioni più difficili da scrivere: inutile precisare che quello che leggerete d’ ora in poi l’ avrete letto in ogni altra mia recensione relativa ad un gruppo di questa caratura. A dispetto delle più che discrete uscite di Dragonforce, Lost horizon o – permettemelo, ma la loro classe ed esperienza sono fattori indiscutibili – Stratovarius, gli Insania rientrano di diritto nel rango a cui appartengono infelicemente quegli ensemble le cui idee sono totalmente anonime: quelle band che senti nominare, e che ti fanno pensare subito ad un altro monicker che magari esiste da dieci anni, e che ha trattato la solita, medesima materia quando ancora questi erano in fasce. Potrei a questo punto non andare oltre, per non infierire. Ma l’etica vuole chiamarmi in causa, ed eccomi qua: vocalizzi che rimembrano più o meno direttamente gli arcinoti Kotipelto e Kakko, portando a galla il sapore finnico delle loro valutatissime prestazioni; linee di batteria chiaramente ispirate al grande Ingo, defunta e gloriosa stella che marchiò col fuoco le linee ritmiche dei Keeper e del magistrale “Walls of Jericho”; infine chitarre anonime, in un preconfezionato tumulto di Power Chord e schitarrate su toni sempre più alti. L’anima più conservatrice del Power finnico incide ancora per quanto concerne gli inserti di tastiera, relegati spesso al solismo, e ad opera di Patrik Vastila, mentre il resto è l’ equivalente di una dannata pellicola che conosci a memoria, ma che sotto forma di un purulento remake sei costretto a riosservare con attenzione con occhio stanco e angoscioso. Credevo di averle viste tutte, soprattutto dopo aver ascoltato gli ultimi dischi di Axenstar e Celesty, ma avevo torto. Ovviamente, questo è ricollegabile alla crisi – immensa – del mercato europeo: è ovvio che un settore inflazionato come il Power metal finisca per proporre tantissime band al contempo, e per farne emergere soltanto una o due realmente valide mentre ne escono una decina dal valore discutibile. Ma è oneroso dover vedere che le label continuano ad insistere su formazioni perfettamente identiche ad altre, continuamente alla ricerca della produzione del “Keeper terzo” (vedi Heavenly, questi ultimi in maniera piuttosto fallimentare), e assolutamente prive di idee proprie. Consiglio quindi di ascoltare cosa hanno proposto negli ultimi anni gruppi come Mob rules, Stormhammer o Rage, e di capire quindi dove è insito il vero cuore del Power metal, quello che ancora pompa linfa vitale nelle sue vene, e che potrà tenerlo in vita per molti anni. Di certo, quel cuore non batte a causa degli Insania.