In flames – Reroute to remain

Etichetta : Nuclear blast / Audioglobe

Tracklisting definitiva del disco:

“Reroute to Remain”, “System”, “Drifter”, “Trigger”, “Cloud Connected”, “Transparent”, “Dawn of a New Day”, “Egonomic”, “Minus”, “Dismiss the Cynics”, “Free Fall”, “Dark Signs”, “Metaphor”, “Black & White”

Tracklisting del promo:

1 – Cloud connected
2 – System
3 – Reroute to remain
4 – Dawn of a new da

Gli In flames ci hanno insegnato sin dai tempi degli esordi di non saper trascorrere più di due anni senza mutare la propria pelle stilistica. Prima, con “Lunar strain”, ci hanno fatto assaggiare del particolarissimo death svedese macchiato di correnti esterne fra le quali compariva, implicito ma evidente, il folk scandinavo, quindi si sono dedicati ad un heavy metal melodico macchiato di scream vocals e riffs aggressivi che tutti hanno frainteso per death metal (“The Jester race” e “Whoracle”), ed infine si sono volti al futuro di un genere, quello del cosiddetto death svedese, oramai segnato da una vera e propria crisi di identità a causa delle innumerevoli band clone attive. Sorpassati sul piano qualitativo dai Dark tranquillity, che anche in tempi recenti hanno più volte sfiorato il capolavoro e l’hanno messo sul mercato tramite la release del fantastico quanto sottovalutato “Projector”, gli In flames, cugini feriti, si sono visti piovere addosso una miriade di critiche con l’uscita di “Clayman”, ruffiano disco carico di ritornelli orecchiabili spesso sin troppo melensi e vicini l’un con l’altro. Non sono bastate le varie “Only for the weak” e “Pinball map” a tenere alte le sorti di un lavoro insufficiente, e quindi, a distanza di due anni, con la barriera discografica intermedia creata dal live album “Tokyo showdown”, il nuovo lavoro di Friden, Stromblad & co. è finalmente pronto, ed il suo nome è “Reroute to remain”. Purtroppo, come è nella tradizione della nefasta opera di promozione della Nuclear blast, non c’è band celebre che venga distribuita – in fatto di promo destinati alla stampa cartacea e telematica – tramite full albums: la tempesta mp3 ha colpito tutti, nel bene e nel male, e Nuclear blast ha così deciso di mettere in circolazione, per i suoi fiori all’occhiello, promo cds contenenti poche canzoni e versioni tagliate. Quello di “Reroute to remain” contiene soltanto quattro tracce, fra le quali presenziano “Cloud connected”, dalla quale sarà tratto un videoclip, “System”, la title-track del disco e “Dawn of a new day”. Impossibile, dunque, realizzare una recensione affidabile e completa. Il mio discorso potrebbe terminare qui, ma vi assicuro che non appena MetalManiacs entrerà in possesso del disco completo vi forniremo una review tanto dettagliata quanto è importante l’uscita di questo lavoro per l’evolversi della situazione discografica metal di questo 2002. Tuttavia, avendo fra le mani un promo di quattro canzoni, perchè non parlare dei suoi contenuti? Naturalmente, mi asterrò dall’esprimermi attraverso votazioni o altre amenità del genere, in quanto sto per trattare circa un quarto del prodotto totale. Partiamo con ordine: “Cloud connected”, singolo apripista del lavoro, quinta traccia della tracklisting definitiva di “Reroute to remain”, ma opener track di questa promo version: un pezzo che, in termini secchi e scarni, definirei addirittura brutto. Un’apertura tastieristica interessantissima, un riff eccezionale, una seconda fase con stoppate chitarristiche, Friden irrompe con un cantato malinconico e riflessivo per poi esplodere in uno scream degno della sua – pur sopravvalutata – caratura di singer estremo. Tutto scorre bene finchè non arriviamo al ritornello: il tutto non rende neanche un terzo di quanto rendeva l’impatto di “Pinball map”, precedente singolo degli In flames. Il ritornello è inconsistente, noioso, modernista ma scarico di emozioni. Una song che continua sulla medesima falsariga senza proporre novità, bilanciandosi anche troppo su quella linea espositiva, e non presentando nulla di realmente buono. Male, molto male. Stavo già pregustando un crollo discografico ben più accentuato rispetto a quello – contenuto – di “Clayman”, quando irrompe “System”: una delle più belle canzoni che gli In flames abbiano mai realizzato. Non ai livelli di “Embody the invisible”, “Food for the gods”, “Jotun” o “Jester’s race”, ma ugualmente un pezzo da novanta. Avvio veloce, con tempi di batteria raddoppiati rispetto ai metronomi di rullante della precedente song, un bridge cadenzato semplicemente irresistibile dove il basso di Peter Iwers e la voce sofferente di Friden giocano i ruoli protagonistici, refrain stupendo, e si riparte in piena velocità per poi sfociare in parti tastieristiche innovative e futuriste. Un capolavoro. Totalmente in difficoltà ed in contrasto di idee dinanzi a due canzoni dalla caratura opposta, mi accingo all’ascolto della title-track del lavoro, e la mia opinione traballa ancora. Un pezzo sincero in pieno stile In flames, che non aggiunge nulla a quanto detto dalla band già ai tempi di “Colony”, e che, fra continui cambi di tempo e leads di chitarra d’ottima fattura, cade nel tranello imposto da un ritornello poco originale e non all’altezza di quello – ribadisco, magnifico – di “System”. Il refrain rimembra non poco le recenti gesta dei Soilwork, e rovina l’esito riuscitivo di una canzone comunque sufficiente nella quale il meglio viene proposto dal prodotto chitarristico di Stromblad, oscurato da un Friden in scarsa forma e da un’aggressività esecutiva inesistente. Chiude il promo “Dawn of a new day”, un totale ritorno al passato. Aperture folk, parti in pieno stile “Lunar strain” – “The Jester race”, parti totalmente cadenzate, arpeggi fantastici, un cantato che torna alle radici, dimenticando per un attimo il futuro, e volgendosi al tradizionalismo dal quale la band è basilarmente nata. Bella canzone, escluso il fattore ripetitività, che la rovina per il continuo incedere dei medesimi tratti. Qualche accorgimento in più, e “Dawn of a new day” non avrebbe avuto problemi ad affermarsi come uno dei più bei pezzi scritti dagli In flames negli ultimi anni. Un cenno positivo va alla produzione, ottimamente svolta da Daniel Bergstrand dei geniali Meshuggah. Un bilancio definitivo? Una song monumentale, due pezzi discreti, ed una sconclusionata (il singolo). Non vado oltre, lasciandovi all’attesa di “Reroute to remain”. La mia paura resta la possibilità che in questo promo siano stati inseriti gli episodi migliori del prodotto finale: in tal caso, sarebbero guai.