Undici anni sono passati da quel “Dawn of possession” che conferì all’Olimpo del Death metal un’altra creatura imponente su cui riporre fiducia: gli Immolation di Ross Dolan. Oggi, con soli due quarti della formazione originali rimasti intatti, ovvero lo stesso Dolan ed il chitarrista Robert Vigna, la line-up si ritrova impreziosita dal non più recente innesto di Alex Hernandez, drummer capace proveniente dagli estremi Fallen Christ, e dal nuovissimo “acquisto” di Bill Taylor, ex chitarrista degli Angel corpse che ha da poco rimpiazzato Thomas Wilkinson, quest’ultimo uscito dai giochi dopo la release del valido “Close to a world below”, disco datato 2000. Due anni di lunga attesa sono passati, un periodo snervante che mi ha indotto ad attendere con tanta parsimonia – e pazienza – questo “Unholy cult”. Finalmente, la release è avvenuta: la ricetta non è cambiata, se non sensibilmente. Gli Immolation di “Close to a world below”, quelli capaci di partorire un follower ben più dignitoso rispetto al discreto “Failure for Gods”, sono sempre più in forma, a dispetto del periodo critico – da cui siamo ben lungi – in cui misero alla luce l’evitabile e scialbo “Here in after”. Death metal brutale, composto, spesso tributatore nei confronti dei Morbid angel e dei Suffocation più brutali (periodo “Breeding the spawn”), ben ragionato ma non scadente in tecnicismi auto-celebrativi od in inutili digressioni perditempo (malattia che affligge da sempre molti ignobili emulatori dei Death di “Human” o dei lontani – di certo non geograficamente parlando – compari Cynic). Esattamente come nel precedente full-lenght, grazie alle chitarre cupe di Robert Vigna ed al bassismo di Ross Dolan, la cui ugola ruggisce sonoramente per i suoi consueti growl, esponenzialmente minacciosi e coinvolgenti, tutto o quasi fila liscio. Ciò che mette nostalgia rispetto a “Dawn of possession” è la mancanza dell’ingente personalità di cui ogni singolo pezzo, all’interno del succitato debut album, era dotato: “Unholy cult” è un disco nel complesso superiore ai due predecessori, sarà quasi certamente considerato il miglior disco degli Immolation dal 1992 ad oggi (senza contare la bellissima raccolta “Stepping on angels…before dawn”), e ciò è dovuto all’incredibile continuità qualitativa che incede da un pezzo all’altro, avviandosi con l’opener “Of martyrs and men”, e concludendosi quindi con “Bring them down”. Non ci sono evidenti cali di tono, ma quel che mi preoccupa è che “Unholy cult” è sprovvisto di una “Higher coward” o di una “No Jesus no Beast”, ovvero di quei pezzi che, in definitiva, da soli rendevano i precedenti lavori degni di nota in maniera più che fortunosa. Tutte le song di “Unholy cult” propongono del buon Death floridiano, brutale quanto intelligente, ma la mancanza di elevati picchi o canzoni memorabili impedisce al disco di potersi proporre come una più che avvenente release. Un gran peccato, ma in ogni caso un disco che consiglio a tutti gli appassionati di Death metal americano. Se sussistono posizioni di diffidenza, puntate sui nuovi Hate eternal, Vile, Origin o Nile e placherete sicuramente la vostra sete di buon Death metal!