Ecco che finalmente gli HLAW hanno trovato un contratto! Avevo recensito il loro demo su questo stesso sito (cercate la recensione nella sezione Demos) e l’avevo trovato decisamente buono. Questo debut album però contiene altre canzoni, completamente nuove. Dalle cordinate un po’ più vicine ai My Dying Bride del demo, gli HLAW in questo debut si sono spostati in posizioni più vicine a grandi linee a band come i Sins Of Thy Beloved, i Silentium o addirittura Funeral, con suoni di violino più asciutti e meno barocchi, atmosfere più lunari e ossianiche, voci femminili e un growlettone di impronta un po’ “narrativa” (nulla di eccessivamente aggressivo o sboccato insomma, molto composto anzi). Il disco a volte è troppo prolisso, i pezzi si dilungano a volte cercando di acchiappare atmosfere che non arriveranno mai o arriveranno con grande ritardo e a volte frustrazione (se prima della parte interessante di una canzone si inserisce una parte ‘preparatoria’ di svariati minuti, la noia nell’ascoltatore aumenterà sempre). Ottimi gli arrangiamenti, la produzione e la scelta dei suoni, anche se penso che il violino sia troppo asciutto e sfruttato veramente pochissimo, poco protagonista e costretto a fare miagolanti parti di contorno che si ripetono in maniera esagerata e con veramente poca incisività. Per questo strumento bisognerebbe scrivere più musica e meglio, con maggiore fantasia… la tecnica c’è… mancano le note (non chiedo veri e propri assoli, ma parti più variegate e protagoniste… e la band per me ci riesce in So Death Would Be Just A Bad Dream). Un po’ ‘stanche’ le chitarre, ottime invece le voci! Stupefacente la seconda traccia All The Seasons Of Madness, completamente estranea al sound della band: inizia con riff, melodia e ritmica stile Lacuna Coil, su cui poi attacca il growl, per poi divenire un pezzo molto ritmato e scorrevole (con ovviamente qualche momento più cadenzato e riflessivo). Comunque il senso di ossianico isolamento è reso veramente bene e quando il disco ingrana all’interno delle canzoni incattivendosi un pochino, il risultato è buono: quando si riesce a prendere il ritornello, la linea melodica, la strofa o il riff giusto, il disco si fa apprezzare… il problema consiste nei momenti in cui non si riescono a percepire queste cose, lì rischia di subentra il disinteresse. Il difetto maggiore di questo l’ album è la poca durata: le canzoni effettive sono solo 7 (e sono lunghe… ma prolisse), il resto dei pezzi sono intro (o intermezzi), che per quanto carine, non danno nessun valore aggiunto specifico. Detto questo, una riflessione: non ho ancora capito cosa abbia a che fare in tutto questo il caro buon vecchio Shakespeare e cosa abbia a che fare Shakespeare con il Gothic Metal (ehhehe in realtà la domanda è un trabocchetto: qualcuno mi spieghi invece cosa ha di gotico il gothic metal, cosa ha di gotico Shakespeare e come l’immaginario scespiriano influisca sulle tematiche e le atmosfere del cd… poi vorrei anche un temino sul Preromanticismo, il Romanticismo e il Decadentismo… scherzo). In ogni caso posso dire che il brano che ha come testo il Sonetto XCVII è fatto bene e il drammaturgo Inglese ne potrebbe pure essere soddisfatto. Un disco quindi che mi sento di consigliare caldamente agli amanti delle band citate sopra, avrei preferito insomma piu’ materiale e più concentrato e dritto al sodo, meno prolisso e con qualche accorgimento in più. Gran debutto comunque ( e poi c’è quella traccia All The Season Of Madness che è VERAMENTE notevole …).