Highlord – Breath of eternity

Li avevo snobbati terribilmente in occasione di “Heir of power”, loro debut album. Ora, francamente, gli Highlord penso non abbiano assolutamente più nulla da dimostrare a nessuno: “When the aurora falls…” già aveva fatto luce sulla incredibile capienza di connotati stilistici riguardante questa formazione, “Breath of eternity” è il segnale definitivo che, volenti o nolenti, attesta che avete innanzi a voi un’altra grande realtà del Power metal europeo. E se non dico italiano, precisando subito che non sono un dannabile o presunto esterofilo, un motivo c’è. E’ bello vedere, ogni tanto, che le formazioni riescono ad emergere anche senza aiuti più o meno influenti di membri esterni di una certa caratura: agli Athena c’era voluto Fabio Lione, ai Vision divine l’imponente figura di Olaf Thorsen, fautore di quel side project dei Labyrinth che ora, in popolarità, sembra quasi avere le carte in regola per sorpassarli sul filo del rasoio in popolarità e qualità (ammettendo però che gli ultimi lavori di entrambe le bands non mi hanno convinto molto a riguardo). Scandite un po’ la line-up degli Highlord: non si tratta dei soliti due o tre nomi di lusso rimescolati e messì, bensì avete davanti tutta farina del loro sacco, un sacco dal quale attingono musicisti tutt’altro che rinomati ma che in un futuro prossimo potrebbero metter paura ai grandi del settore. Via le paure: “Breath of eternity” non è l’ennesimo disco Power composto dai soliti tre o quattro ingredienti. La base di partenza è la solita, un occhio disattento potrebbe cadere in fallo sostenendo sospetti di scarsa originalità, ma in una scena Power come quella che ci ritroviamo oggi, malgrado quanto vengano osannati artisti noti degni invece di critica pesante, gli Highlord riescono a far la loro bella figura mediante un qualcosa di variegato, concreto, ben settato. Le sfaccettature particolari di cui questo “Breath of eternity” è irrorato sono numerosissime: si vada per il sax che caratterizza alcune linee della conclusiva “Moonlight romance”, episodio ove il protagonismo è relegato all’ottimo singer Andrea Marchisio (non eccellente in quanto ad estensione, ma fantastico su tutti gli altri aspetti richiesti ad un singer del settore), ed al piano, le cui linee, impostate da Alessandro Muscio, convincono a pieno stroncando adeguatamente l’atmosfera elettrica imbastita dal lavoro. Si proceda, in altra direzione, osservando le fonti di ispirazione che dilagano in pezzi come “Back from Hell”. Udite le linee di tastiera iniziali, e magari esclamerete la parola che ho detto io stesso: “Europe”! Il rock ottantiano, la sua melodia e le sue modalità d’impostazione sono cosparse un po’ovunque nel disco, un lavoro capace di sostenere momenti canonici come “The dreamer and the deep ocean” per poi saltare oltre, citando ora i Symphony X mediante il chitarrismo di Stefano Droetto, ora il neoclassicismo rock dei Rainbow (e quando dico che Blackmore è sempre dietro l’angolo, non intendo affatto asserire che quest’ultimo venga ricopiato ed emulato dagli Highlord, bensì che vi è, nel disco in questione, un sentore capace di raffigurarne gli stili noti ai più). Passiamo dunque a “Follow me” ed alle linee di tastiera progressive realizzate dal capace Alessandro Muscio, a mio avviso il vero protagonista di “Breath of eternity”. Vi basta? A me si, e la convinzione che questa band sia realmente valida la sento particolarmente viva e fondata in me. “Breath of eternity” è indubbiamente il miglior lavoro Power metal che l’Italia abbia sfornato nel 2002, a dispetto di quanto altre realtà vengano acclamate, e forse solamente i Thy Majestie possono davvero ambire a tenere il passo a questa uscita. Io dico che può bastare…