Copertina pressoché nera e rossa, scritta infuocata e fumettistica, classica vettura americana, Route 66(6) e un deserto quasi visibile. Tutte robe che fanno pensare al buon vecchio stoner. Infili il cd, ti senti pronto ad insultare il nuovo secolo, gli anni ’90 e gli anni ’80 quando un riff anomalo precede un ululato sgozzato che ricorda in modo vergognoso del semplice death melodico svedese. Aaahhhh!, poi dici “Green Machine”. Voce marcata, esagerata, un bozzetto di un buon cantato growl e un sacco di melodie bruttine che cercano, invano, di coprire un cassa-rullante-charlie degno dei più bravi “sbattipentola” da mercato. Non ci siamo, il disco non mi convince nonostante suoni e missaggio da far impallidire per la qualità e per il gusto (d’ altronde Bergstrand ha anche prodotto Darkane, Meshuggah ed In Flames). A forza di far girare il disco, è tutto un girare anche di testicoli, però si sente un macello di punk, Misfits alla mano ed Exploited a volta abbozzati. Nella sua legge questo disco è perfettamente legale. Non ci sono errori evidenti, loro hanno stabilito le regole del loro suono e del loro genere, e tutte le canzoni hanno rispetto per il disco e per il materiale che è in esso contenuto. Gli Helltrain ci evitano di assistere allo scempio di sentir parlare di carne e poi finire con il pesce. Pensate se quanto ho nominato, e non tanto il modo, vi può interessare. In caso positivo siate sicuri che non rimarrete delusi.