Gli Hellacopters rappresentano per me un certo mistero. Da autentico adoratore del loro vecchio sound quale io sono, in relazione al grezzo Rock ‘n’ Roll dai tratti quasi punkeggianti ora a’la Ramones, ora quasi in una versione più scanzonata e solare dell’operato dei vecchi Misfits, in vista dell’uscita di “By the grace of God” ho nutrito una certa diffidenza per il titolo in questione, prevedendo rimpianti e nostalgie che si sono prima concretizzate solo nell’immaginario, poi nella realtà. Il nuovo disco degli Hellacopters, messo in circolazione dalla capace Universal, non mostra grandi cambi di rotta da parte dell’ensemble in questione rispetto a quanto presente sul precedente “High visibility”, prodotto dalla qualità discreta che, purtroppo, non mi aveva fatto sussultare nè procedere con critiche invettive. La formula è sempre quella: gli Hellacopters camminano bilateralmente su due fronti sui quali la classe e l’esperienza del combo consentono loro di domare il materiale trattato con una certa maestria: il primo dei due territori è quello del Rock ‘n’ Roll puro, solare e limpido nella sua cantabilità e mai oscuro eccezion fatta per quanto appare nella tenebrosa “The exorcist”. I suoni duri e radicati in tale corrente manifestano grandi risultati su pezzi come la title-track o “All new low”, acquisiscono persino un ottimo fascino retrò sulla bellissima “U.Y.F.S.”, poi lasciano strada a quanto di più controverso possiate aspettarvi dagli Hellacopters. Il lato oscuro di “By the grace of God” corrisponde con la presenza di un secondo campo d’azione, di cui accennavo giusto poche righe sopra, consistente in una marcatissima vena pop-rock che, coadiuvata dalla presenza effettiva di pezzi come “Carry me home”, “All I’ve got” ed “On time”, causa la perdita della giusta naturalezza e della rabbia che ogni disco degli Hellacopters non dovrebbe rinunciare a proporre. Un disco dalle due facce che presenta un po’le solite problematiche offerte dall’ultimo lavoro in studio dei Foo Fighters: poche hits e tanto materiale riempitivo che scorre bene nello stereo ma non convince, presentandosi come ottimo materiale da viaggio o da ascolto distratto, per poi non indurre a premere nuovamente il tasto “play” quando si giunge alla fine del disco, a.k.a. la discreta “Pride”. “By the grace of God” potrà anche intrattenervi per qualche giorno, ma come accade ai dischi meno longevi, il prezzo che dovrete pagare per acquistarlo sarà sicuramente eccessivo se paragonato alla qualità dei suoi contenuti. Puntate su “Payin’ the dues” se volete avvicinarvi all’universo musicale degli Hellacopters, mentre una forte considerazione nei confronti di questo album, francamente, la riserverei soltanto ai fans più accaniti del monicker in questione.