Heavenblast – Heavenblast

Nonostante la bio che accompagna questo disco ci tenga a precisare che lo stile della band è “di certo non banale”, quest’album mi è invece apparso come il tipico prodotto che lancia a briglia sciolta la doppia cassa, che punta molto sulla velocità (cito subito “Heavenblast” e “Inside The Universe”, tanto per gradire), sulla melodia, su alcuni ritocchi sinfonici, voce bella alta e tanti altri cliché del power prog, che è proprio il genere nel quale si cimentano gli Heavenblast. Per evitare fraintendimenti: non dico che in questo disco si trovino cattive idee, semplicemente sono un po’ troppo stagionate e tendono più a stancare che ad intrigare l’ascoltatore. Tutto qui. Torniamo a noi, si diceva “power prog” (più power che prog), ecco: di solito la parola “prog” sta ad indicare qualche tastiera un po’ più presente del solito, qualche assolo, qualche unisono e poco più. Invece in questo lavoro, bisogna darne atto, si cerca di fare qualcosa di diverso: accanto a andamenti palesemente helloweeniani (e alcune parti strumentali di “Inside Of The Universe” fungono da riferimento), altri più vicini ai Rhapsody (“The Hero Of The Eternal Flame”, “The Crown Of The Light” e i titoli dicono molto), vengono inseriti dei buoni break elettroacustici, “liquidi”, che effettivamente avvicinano il sound ad un certo modo di intendere il prog rock. Momenti più distesi per riprendere il fiato tra un cavalcata metallica e l’altra, potremmo quasi dire. Esempi? La già citata “The Hero Of The Eternal Flame”, che propone una sezione centrale di quelle di cui si è appena parlato, ma mostrano questo volto della band anche “Tomorrow King”, forse la migliore del lotto, l’accademica ma godibile ballata “Last Smile”, “Status In The Shade” (la composizioni più “progressiva” dell’intero platter) o l’intermezzo “Power Induction”. Sì, comunque non è che si inventi nulla, si preferisce semplicemente puntare su altri elementi. Ultimo appunto sulle melodie, piuttosto godibili ma troppo spesso abbastanza intuibili, senza eccessive sorprese, interpretate dalla particolare timbrica di Marco La Corte, il quale, pur non avendomi particolarmente entusiasmato, per la band costituisce comunque una peculiarità da non sottovalutare. Nel complesso “Heavenblast” scivola via senza infamia e senza lode, senza difetti grossolani ma risultando anche privo di quei guizzi che caratterizzano un lavoro degno di riconoscimenti tra i metal kids sparsi qua e là sul globo terracqueo. Certo la band ci sa fare, le esecuzioni sono molto buone, a volte dà prova di apprezzabile gusto artistico (spesso e volentieri mi sono ritrovato ad apprezzare gli inserimenti delle chitarre soliste), ma che con questo disco ancora non riesce a spiccare. Collocazione standard, dunque: disco per amanti del genere con spiccata avversione per il rischio.