Hate forest – Sorrow

Anno: 2005
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Supernal MusicTracklisting:

1 – Cold of the grave
2 – Fullmoon
3 – What the ruins of remember
4 – Fog
5 – As the sunlight dies
6 – Night harvest
7 – Chambers of the winds

Dopo sei anni di svariati demo, EP di due sole tracce, inutili compilation e full-length mediocri, nonostante il continuo mutamento di stile che ha negato un marchio di riconoscimento e malgrado gli altri progetti da portare avanti, finalmente Roman Saenko ce l’ha fatta. E lo fa cambiando ancora, dimenticando l’immaturità del debut “Scythia” e abbandonando le influenze del folklore ucraino che si erano impadronite del bello ma dispersivo “Battlefields”. Solo “Resistance”, il precedente EP, è in grado di dare informazioni sulla nuova veste della formazione ucraina; tutti gli altri episodi passati descrivono una realtà del tutto slegata, una band smarrita alla ricerca di una propria identità. Il presente si chiama “Sorrow”, la sofferenza trascritta in musica. Non un passaggio di batteria, non un rallentamento, non un intermezzo, non un cambio di tempo, non un attimo di fiato: caratteristiche anomale e apparentemente negative che in questo caso risultano fondamentali per creare un album pericolosamente claustrofobico che nasconde sette tracce memorabili, capitoli raccolti in un unico e maestoso tomo che avanza drammatico guidato da un black di spiccata personalità. “Sorrow” è un disco maturo e difficile da acquisire, dove la prima impressione segnata da soli blast-beats e brani indistinguibili lascerà spazio con i successivi ascolti ad un’anima conturbante riscontrabile in capolavori di inquietudine quali l’omonimo dei Thorns e “The work wich transforms God” dei Blut aus nord. Un assalto dalla prima all’ultima nota che non va però male interpretato; non si tratta del solito black sparato senza capo né coda o dell’inespressiva malvagità di Absurd o Beherit, la forza del nuovo Hate forest sta nel riuscire a trasmettere grandi emozioni attraverso riff dotati di sentimento, mettendo in primo piano il basso – spesso trascurato nel genere – che diviene un elemento chiave del quale non si può fare a meno. Tornando al discorso di apertura, il tuttofare Roman Saenko ce l’ha fatta, è riuscito a comporre un’opera d’arte senza inventare nulla di nuovo, a far parlare la musica mettendo a tacere tutto il resto.