Goatsnake – Goatsnake I

Un gioco pericoloso il cui unico filo conduttore fra le varie vicende portanti sono le macerie. Quelle di Man’s ruin, grandissima label capace di mettere alla luce gli Unida di John Garcia per poi scomparire tragicamente, e quelle dei The Obsessed, dei quali ritroviamo frammenti negli Spirit caravan di Wino – anch’essi discioltisi, più tardi – e nei Goatsnake di Guy Pinhas e Greg Rogers. E’ il 1999: i Goatsnake debuttano su Man’s ruin mettendo in circolazione “I”, primo capitolo di una discografia che, numericamente, si fermerà al capitolo terzo con “Flower of disease”, successore dell’EP “Dog days” in cui Guy Pinhas, ex bassista dei The Obsessed, aveva già dato l’addio ai compagni per far subentrare il successore Stuart Dahlquist. I Goatsnake non sono a tutti gli effetti la reincarnazione dei The Obsessed: condividono alcuni loro aspetti sonori già messi in mostra nel fantastico “The Church within”, ma si rivelano assai meno ossessivi e maggiormente legati al filone Stoner, di cui estraggono numerose reminiscenze legandole al Doom tanto caro alla formazione americana che diede i Natali ai due musicisti succitati, appunto, i The Obsessed stessi. Un disco, “I”, interessante quanto sopravvalutato dalla critica, evidentemente tendenziosa a coprirne di lodi i contenuti più a causa dei nomi impressi nel suo booklet che per l’effettiva validità di quanto, musicalmente, è insito in esso. I The Obsessed tornano furiosi in “What love remains”, un pezzo che ipnotizza e trascina con passo pachidermico per poi dare il passo ad una serie di brani diretti fra cui mi sento di sottolineare l’importanza della allucinante “Dog catcher”, un fuori campo tanto gradito quanto capace di sconvolgere la graniticità del lavoro. Bravi, ma non abbastanza ma invogliare a formulare un fatidico “Buy or die”.