Giuntini Project – II

In occasione dell’uscita del terzo capitolo discografico, firmato Giuntini Project, la Frontiers Records, ha deciso di ristampare il precedente disco, II, la cui prima pubblicazione risale al 1999. Trattasi di un’opera che affonda le propri radici negli anni ’70/’80, di cui vengono resuscitati i tipici riff sabbathiani, ed in generale, un certo modo di suonare rock; a ciò bisogna aggiungere delle sottili venature heavy, che danno un’ulteriore spinta alla musica, rendendola maggiormente aggressiva. Se già le strutture musicali proposte da Giuntini, sono una chiara dichiarazione d’intenti, lo è altrettanto la scelta di avere come vocalist, quel Tony Martin, che tutti conoscono per i suoi trascorsi nella band di Iommi & C (è proprio il caso di dire: è qui, il cerchio si chiude!!). Ad ogni modo, se è evidente, da una parte, che la proposta musicale del Giuntini Project, pecca di originalità, bisogna, però, ammettere, che non mancano certo le note positive, rappresentate, prima di tutto, da un songwriting di buon livello, e poi, da una produzione curata, ad opera di Dario Mollo. Le soluzioni adottate da Giuntini in fase di arrangiamento sono all’insegna dell’equilibrio, e della sobrietà, dal momento che il chitarrista italiano preferisce concentrare i propri sforzi sulla creazione di riffs e melodie di spessore, piuttosto che perdersi in inutili esibizioni solistiche; difatti, a rappresentare l’essenza di questo lavoro sono, da un lato, un riffing corposo, granitico ed a tratti heavy, che rimanda alla tradizione rock inglese degli anni ‘70/’80, e dall’altro, il cantato passionale di Tony Martin, che riesce, in alcuni casi, a donare più vitalità a brani comunque (ed indiscutibilmente) validi dal punto di vista prettamente strumentale. Purtroppo, l’accoppiata italo/inglese non sempre si rivela capace di lasciare il segno, per cui si possono incontrare anche alcuni episodi anonimi (poco coinvolgenti) che vanno a minare la qualità complessiva di un’opera che probabilmente risente anche della sua stessa prolissità. Detto questo, il giudizio finale non può che essere positivo, grazie ad episodi sublimi come Letters From The Dead e Saved By Love, le cui atmosfere sabbathiane permettono a Martin di esprimersi ad altissimi livelli, e a pezzi meno evocativi, ma trascinanti, come Superstitious e Sacrifice. Da non sottovalutare, poi, la bellezza di brani come The Evil That You Do, segnato profondamente dal cantato struggente di Martin, e Spiteful Ghosts, che è un episodio totalmente strumentale, in cui partiture dal sapore neoclassico si fondono con l’irruenza ritmica dei primi Iron Maiden… Insomma, i pregi non mancano in questo onesto lavoro di hard & heavy, per cui direi che gli ascoltatori legati alle suddette sonorità, farebbero bene a dargli un’ascoltata.