Generous Maria – Command of the new Rock

New Rock. Con questo termine gli svedesi Generous Maria si presentano nonostante un passato musicale che si inerpica indietro nel tempo sino al recente 1998. Kyuss. Con quest’altra parola molte persone li hanno già etichettati, senza lode nè infamia, e naturalmente senza imputar loro troppa originalità e ricchezza ideologica. Un’accoppiata di fattori, questa, che francamente mi fa ridere non poco. Sinceramente, sentir parlare di Stoner e gettare subito nella mischia l’ex combo di John Garcia e Josh Homme è quanto di più erroneo una persona potrebbe fare nei confronti del suddetto ramo musicale. I Generous Maria sono su un altro pianeta rispetto agli alfieri che generarono “Blues for the red sun” e “Welcome to sky valley”, ne riportano solamente una minima porzione del sound che li accompagnò, e trovo che facciano di tutto per incalanarsi in una corrente distinta dalla loro. Il quintetto in questione, capitaneggiato dal singer Goran Florstrom, non suona New Rock (poichè è inutile addebitare nuove etichette ai gruppi non appena uno di questi propone un sound appena dotato di personalità univoca al suo nome), non è una malcelata cover band kyussiana, e stende sino al profondo dello spazio le sue intenzioni stilistiche. Chiamate piuttosto in ballo le visionarie cavalcate degli americani Monster magnet, comprendendo quel tocco di psichedelia che mai nuoce, e che qui è stata egregiamente riportata sulle linee del pentagramma del duo chitarristico Ulrik Nilsson – Dan Johansson. Florstrom, il vocalist, ci mette del suo per personalizzare la ricetta – o per rovinarla, a seconda di come prenderete in critica il suo operato: la sua voce, mai aggressiva e distante anni luce dai canoni propositivi che il Signor John Garcia da sempre adotta (ma quant’è lontano “Wretch”…), parte colpendo l’ascoltatore per i suoi suoni pieni e melensi, quasi settantiani e richiamanti il passato in ampie dosi, per poi finire mestamente, annoiando, con un piattume esecutivo che non mi sarei aspettato di udire neppure dal peggior Axl Rose. “Ashram of the absolute”, momento strumentale dall’assoluto impatto, finisce per cimentarsi come l’apice compositivo più alto del disco, con i suoi riferimenti al più mieloso AOR ed il suo gusto chitarristico barocco – pervenuto ad inizio brano. Il resto scorre via piacevole sui primi ascolti, e non indugia affatto a ritornare a capo quando la scena si è scandagliata per reiterate volte. “All good things” incarna bene lo spirito del Rock mainstream, conferendo al disco, mediante l’apporto del quattro corde di Jesper Klarqvist, il medesimo denominatore comune che è associato al resto del disco: lo Stoner. “Big shiny Limo”, opener di “Command of the new Rock”, si propone come un altro episodio felice che galleggia in un mare calmo a cui si chiede quasi con pietà un minimo di tempesta. Prendete un pizzico del gusto Seventy che irrora magicamente le sonorità sprizzate dai Firebird più visionari, gettatelo nelle lande desertiche della scena Southern Rock americana, ed i Generous Maria saranno lì ad aspettarvi. Un disco che si salva in corner per la capacità che i suoi autori dimostrano di avere nel proporre cose non esplicitamente scopiazzate altrove. Questi non sputano nel piatto dove mangiano, non rinnegano influenze, ma ambiziosamente guardano ovunque per bilanciare al meglio la proposta definitiva a cui puntano. “Command of the new Rock” potrebbe tenervi incollati dinanzi allo stereo per qualche ora, poi la resa dei conti sarà fatale. Solo per chi pensava che in Svezia ci fossero solamente gli Spiritual Beggars.