A Firenze si sta attualmente svolgendo una sorta di film, che vede coinvolti due protagonisti del luogo ed un’interessante filo di congiunzione che proviene da molto lontano. I primi due stanno giocando ad una specie di derby, e sebbene le voci su eventuali concorrenze all’interno di sotto-scene cittadine vengano sempre messe a tacere più o meno diplomaticamente dai membri delle formazioni stesse (e mi riferisco a fatti globali, e non alle due bands in questione), è inevitabile che presto si verrà a parlare di loro in un confronto più o meno saporito di rivalsa. Volete i nomi? Frozen tears e Sevengates, due ensemble già attivi da svariati anni, il primo al secondo full lenght su Megahard, l’altro giunto al debut non molti mesi fa con “Unreality”. Ciò che li lega, nel bene o nel male, è la succitata Megahard records, etichetta brasiliana distribuita nel nostro paese da Self che, presto, confermerà o smentirà il fatto che vi sto per esporre: serve o no fuggire dalle label italiane, spesso imputate di una professionalità onerosa, eccezion fatta per qualche isola felice sparsa qua e là nel territorio peninsulare dove viviamo? Cose che solo il tempo dice, e sono convinto che manca assai poco al rendez vous. I Frozen tears, venendo al bandolo della matassa, non sono affatto una realtà novizia della scena metal italiana: il 2000 ha segnato il loro approccio discografico definitivo, essendo risultato il sestetto attivo mediante la produzione di “Mysterious time”. Quest’ultimo, un lavoro di media caratura che, all’epoca, non mi fece nè gioire, nè gridare allo scandalo. Un qualcosa che reputavo fosse altamente nella media, una media che, per quanto concerne le produzioni metalliche tricolori, non appare poi così elevata in fatto di qualità. E se i Sevengates sono andati ben oltre quel limite tramite “Unreality”, ecco che la compagine dei Frozen tears, loro concittadini, dimostra di non voler risultare da meno. “Way of temptation”, quarta produzione in studio dei Frozen tears fra il 1997 ed oggi (contando naturalmente anche le due demo-tapes), evidenzia l’eterno legame esistente fra l’Heavy metal ed i sei musicisti che compongono il rooster della formazione toscana: le citazioni più evidenti riguardano i Judas Priest del periodo mediano (gli Eighties), il cui sound viene per l’occasione rivisitato ma non affatto clonato, in quanto farcito con elementi moderni quali un tastierismo sempre presente – forse in eccesso, su alcune parti del lavoro – , rarefatti elementi progressive, e qualche digressione nel Power metal. E se “A great day” rimembra l’Heavy metal americano degli anni ottanta, il resto rischia di apparire come una sorta di revival tastieristico e più melodico di quanto, attualmente, sono in musica i romani Centurion. Alessio Taiti ne ricalca in parte gli stilemi vocali, assecondando in parte metodiche accostabili a quelle comuni ai vecchi Helstar, e ponendo in prima linea la riproposizione delle linee canore a’la Rob Halford in un contesto sovente grattato e più aggressivo. Il lavoro è decisamente vario ma segue schemi che, spesso, hanno del già sentito: il confronto coi Sevengates appare improponibile a causa della netta divergenza propositiva esistente fra l’operato delle due formazioni, sebbene sia maggiormente lodevole lo stile esposto dai Frozen tears, questi ultimi per nulla vincenti nel raffronto riguardante l’impatto al primo ascolto e la validità dei singoli pezzi. Non voglio assolutamente asserire che “Way of temptation” necessiti prolungati ascolti per l’assimilazione: il fatto è che molti dei suoi brani non convincono a pieno, basandosi questi sin troppo sulla forma canzone, e perdendo terreno a causa di minimali lacune come un eccessivo utilizzo delle tastiere (a mio avviso totalmente fuori dal contesto creato dalla musica dei Frozen tears), una produzione eccessivamente novantiana, l’alta melodicità dei refrain (troppo influenzati dal Power e mai anthemici nella loro cantabilità o travolgenti come l’Heavy Metal comanda), e la mancanza di pezzi che fungano da diversivo, creando magari solchi degni di differenziare maggiormente i brani l’un dall’altro. Tuttavia, il resto è praticamente perfetto, a partire dall’impostazione tecnica dei singoli, finendo con una lode di merito tutta per Taiti, singer dall’ugola capace e versatile, ma purtroppo non efficace sui toni bassi. Un bel disco che segna passi da gigante eseguiti da una formazione, quella dei Frozen tears, da cui in futuro mi aspetto veramente molto.