Dave Grohl rappresenta sicuramente, al giorno d’oggi, uno dei personaggi più conosciuti del mondo del Rock. Voci insistenti lo vedono come il possibile candidato per il posto vacante di batterista dei Led Zeppelin, quasi sicuramente prossimi ad un reunion tour che farà ancora discutere e tirare in ballo le memorie del defunto John Bonham. Inoltre, vanno tenute di conto le sue carriere, trascorse rispettivamente con Nirvana e Foo fighters, e la sua incredibile e recente prestazione sul nuovo disco dei Queens of the stone age. Grohl, a quanto pare, riesce ad impreziosire ogni drappello nel quale riesce ad incastonarsi, e la classe, nella sua Seattle, è ormai rara quanto irreperibile. Grohl, tuttavia, ha resistito a tutto: è sopravvissuto in vista della crisi del grunge, e a dispetto dello scomparso compagno Novoselic ha retto il colpo della morte di Kurt Cobain, proponendosi come incredibile stakanovista e creandosi una band della quale sarebbe divenuto incontrastato front-man nonchè poli-strumentista: i Foo fighters. “One by one” è il loro quarto sigillo in studio, segue a distanza un “There is nothing left to lose” oramai vecchio di tre anni, e dista ben cinque anni da quel “The colour and the shape” che fece, nonostante i frequenti rimandi nirvaniani, quasi gridare al miracolo a suon di singoli ed hits da classifica. I tempi sono cambiati, e anche Dave Grohl lo è: il musicista, accumulata un’esperienza che farebbe invidia a tanti acclamati e presunti geni del Rock, torna lievemente a riproporre le sonorità del debut, abbandonando parzialmente il sound di “There is nothing left to lose”, quest’ultimo un lavoro capace di coprire di fama l’ex drummer dei Nirvana grazie al singolone “Learn to fly”, ma alquanto poco dotato delle carte giuste per bissare il suo predecessore, assai meno commerciale e più spontaneo del materiale allora accorrente. “One by one” lascia per strada molte di quelle melodie ruffiane che nel 1999 avevano regalato alla band nuovi fans e detrattori, aggiunge al sound dei Foo fighters una piccola porzione di follia presa forse in prestito da Josh Homme e dagli altri ‘amici’ dei Queens of the stone age, ma creerà dubbi in molti di voi. L’opener “All my life” incanta, rimandando parzialmente ai Nirvana di “Incesticide” per alcuni suoni degli strumenti a corde, e proponendo melodie da urlo. Quanto segue immediatamente fa però barcollare l’opinionistica: Sia “Low” che “Have it all” convincono assai poco, e mentre “Themes like these” fa risorgere il disco con uno pseudo Pop-Rock da viaggio godereccio e prettamente americano, per tirare un sospiro di sollievo bisogna aspettare “Tired of you”, episodio nel quale fa la sua grande comparsa alla chitarra Brian May, storica sei corde dei Queen. Di lì in poi, è come se si aspettasse tenebrosamente la fine del disco, quasi con impazienza: “Burn away” sciorina un ottimo assetto sulle distorsioni e sull’impostazione strumentale, e la conclusiva “Come back”, fra ottimi passaggi acustici e qualche calo di tono, chiude mestamente un disco dal quale, francamente, mi aspettavo di più: la song relega le proprie parti di rilievo al solo refrain, dignitoso ma mal supportato dagli altri innesti sulle varie sezioni. “One by one”, concludendo, è un disco che strappa la sufficienza grazie al carisma ed all’innata capacità compositiva del front-man che guida i suoi autori, un Dave Grohl (memorabile la maglietta di Ronnie James Dio che porta nelle recenti photo sessions) che sta vivendo un momento di grazia in qualità di musicista e che pare non aver freni posti innanzi alle sue ambizioni. Purtroppo, qui non troverete pezzi come “Everlong” (a mio avviso una delle canzoni più belle e coinvolgenti della seconda metà degli anni novanta) o “Monkey wrench”, gemme capaci di impreziosire il “The colour and the shape” che fu, ma una serie di gradevoli canzoni accompagnate da qualche sporadica mezza hit e dalla fantastica opener “All my life”, che da sola, sinceramente, vale il resto del lavoro. Un lavoro discreto, più sincero e sentito di “There is nothing left to lose”, ma francamente incapace di bissare la qualità raggiunta coi primi due episodi. Caro Dave, da batterista sprechi ben meno colpi.