Mentre Archetype e Wuthering heights accendono il 2003 discografico della Lucretia records, e mentre la gente continua a domandarsi che fine abbia fatto “Emergent” dei Gordian Knot, per mesi e mesi reperibile solo in versione import mentre si dava per certo che la Lucretia stessa ne avrebbe messa in pratica la commercializzazione, mi accingo a recensire questo album degli svedesi Elsesphere, una release non proprio contemporanea ma che avevamo accidentalmente tralasciato. La proposta di questo act, attivo a tutti gli effetti dal 1999, consiste in una sorta di Progressive Metal dai tratti Power, specie per quel che riguarda lo stile delle chitarre di Mikael Bergemalm, in ogni caso piuttosto distanti dalla pomposità di certi Symphony X che, solitamente, senza alcuna ragione vengono troppo spesso chiamati in causa ogni volta che il termine Power/Prog echeggia nell’aria. Piuttosto, gli Elsesphere citano in maniera più esplicita intermezzi strumentali di stampo vagamente theateriano, dove le tastiere di Jocke Floke assumono un’ importanza primaria e si rendono stravaganti, forse un tantino imponenti ed autrici di partiture talvolta non necessarie e persino superflue, e vi sommano atmosfere cupe e riflessive a’la Fates Warning, era ‘Pleasant-shade’, che in ogni modo non assumono mai connotati di valore primario relegandosi quindi ad un ruolo di contorno. Però la musica degli Elsesphere resta in primis cosparsa, come ho detto sopra, di Power Metal. Di quello europeo, melodico, con chitarre dure come tante band al giorno d’ oggi usano e con una produzione che però non le supporta a dovere, complici suoni fiacchi e poco potenziati come un’ opera del genere avrebbe meritato. E soprattutto, di quello pieno di quei riff stoppati che in molti, erroneamente, definiscono come influenzati dal Thrash senza alcun criterio. Jonny Berntsson poi ci mette del suo per non scadere nel ripetitivo, agisce su toni medi, imbastisce ora linee canore quasi epiche, come in “Hole inside my head”, ora parti espressive, d’una teatralità eccessiva, quasi nevermoriana, nella successiva e riuscita “Mastermind”. I problemi, però, dove sono? Più o meno sono i soliti difetti comuni a tante, tantissime formazioni giovani o di medio-basso rango: innanzitutto la voglia di fare le cose in grande, che straripa in quei break strumentali da me citati sopra non appena le tastiere guadagnano una certa libertà d’espressione, perdendosi in un bicchier d’acqua nella maggiorparte dei casi. Poi, la produzione, che nonostante un mixaggio quasi eccelso risente di una registrazione debole, che devitalizza le chitarre e non rende per nulla incisiva la sezione ritmica. Infine, le canzoni: “Blind leading the blind” dispone di due pezzi ottimi come “Hole inside my head” e “Mastermind”, poi crolla con una parte centrale debolissima, infine si risolleva lievemente pur cadendo nella riproposizione dei soliti clichè del genere, come la consueta suite “Seasons in Hell”, innocua e sterile, ma non per questo insufficiente. Insomma, cari Elsesphere: più grinta e personalità, e soprattutto tenete i piedi in terra, perchè il Progressive Metal, in quanto ‘Metal’, non può tenersi alla larga dal soddisfare i requisiti che tale genere vuole da ogni band. Belle canzoni, prima di tutto. E qui, ahimè, sono proprio loro a mancare. Un disco di maniera, ma non per questo brutto.