E’ passato soltanto un anno da quel “Dragonslayer”, disco con cui i Dream evil debuttavano su Century media, e mediante il quale la formazione scandinava era decisamente riuscita a convincermi. Ora, nel 2003, il gelido mese di gennaio non porta affatto venti di conforto: se il nuovo prodotto degli Stratovarius mi ha fatto barcollare a metà fra lode recondita e notevoli dubbi di valutazione – poi risolti in sede di recensione – e se non sono stato affatto consolato dai nuovi dischi di Kamelot e Lost horizon, non basterà di certo “Evilized” dei Dream evil a riportare in alto il giudizio che attualmente mi sento di riservare allo status del Power metal europeo più recente. “Evilized” non cambia di una virgola la proposta musicale che i Dream evil avevano messo sotto ai riflettori nel corso dello scorso anno: accentua vagamente la componente Power metal a dispetto di quella ottantiana, che, sul precedente full lenght, veniva glorificata grazie a pezzi di spicco come “Chasin’ the dragon”, ma affossa il livello medio della qualità dei singoli episodi, pur non eccessivamente elevato sullo stesso “Dragonslayer”. E la band insiste sulla medesima scia, finendo ancora una volta per figurare come un clone degli Hammerfall in versione decisamente impoverita, capace si di recuperare sul piano tecnico l’impostazione di gruppi ottantiani come gli Accept, ma anche di sbarazzarsi di quell’alone di naturalità che pervadeva i dischi dei tempi che furono grazie all’innesto di suoni penosi, eccessivamente moderni e macchinosi partoriti ancora una volta da una produzione inadatta per il genere trattato. Lo stesso problema che, a mio avviso, affligge da anni presunte Heavy Metal bands come gli Iron savior o gli ultimi Primal fear. E le canzoni sono tutte nell’ordinario: insistono sui ritornelli, non trovano i guizzi vincenti che apparivano continuamente su “Dragonslayer”, e già il trittico d’avvio di “Evilized” è su livelli mediocri, lascia presagire male, mette l’amaro in bocca. Quando poi anche la title-track non convince e scorre noiosamente, si avverte pesantemente l’incedere del flop già annunciato in precedenza: la band insiste troppo sulle up-tempos, finendo per proporre continuamente brani dalle ritmiche Power metal assistiti da riffs Heavy metal suonati nel contesto sbagliato e prodotti ancor peggio; e come se non bastasse, il disco non sprigiona grinta, convinzione. In poche parole, il tutto suona come un prodotto preconfezionato, stagnante, prolisso. Nessun brano evidenzia picchi di rilievo, Fredrik Nordstrom certifica la propria incapacità produttiva all’interno del campo Heavy Metal (e pensare che con Dimmu Borgir e Spiritual beggars ha lavorato a regola d’arte…), e non bastano le solite e noiose due o tre collaborazioni di rilievo (il nome del drummer Shaw, che qualcuno si ricorderà come il batterista che ha suonato su “In the shadows” dei Mercyful fate, campeggia su tutti) a chiudere la falla. Nonostante i buoni presupposti imbastiti dallo scorso ellepì, ecco un’altra promessa non mantenuta sul nascere.