Dragonforce – Valley of the damned

Una grottesca line-up di cinque membri, ciascuno di nazionalità diversa dagli altri, un passato col monicker Dragonheart che ha visto il combo di residenza inglese rendersi celebre fra i Power metallers tramite la diffusione della demo omonima rispetto a questo full lenght, e finalmente un contratto discografico soddisfacente e dal valore ragguardevole. Questi tre sono gli elementi – particolarissimi – tramite i quali i Dragonforce giungono al debutto effettivo dopo una gavetta temporaneamente inesistente, durata soli tre anni. E quando il buon giorno si vede dal mattino, è ancor più difficile incappare in errori: i Dragonforce puntano tutto su di un Power-Speed europeo dai riferimenti germanici e dalla componente melodica assai accentuata, messa in perlopiù risalto dall’abile axeman nipponico Herman Li, ed infarcita dai refrain tipici del Power melodico europeo. Il tutto, però, giocato su ritmiche solitamente dai metronomi veloci, sui quali ogni membro del combo è perfettamente al posto suo. O quasi. ZP Theart, singer dal nomignolo indecifrabile, guarnisce di melodia grondante i nove brani di “Valley of the damned”, accompagna fedelmente il lavoro delle – padrone – chitarre di Herman Li – sweeper di gran classe – e Sam Totman, e decanta il lavoro di una sezione ritmica che funziona soltanto a metà: Vadim Pruzhanov, tastierista ucraino, svolge quasi esclusivamente un lavoro di accompagnamento, relegando le proprie linee in secondo piano un po’ alla maniera degli Stormhammer, per poi irrompere con sprazzi di solismo gradevoli ma in nessun caso sui livelli di quello dell’ eccellente Herman Li; il drummer transalpino Didier Almouzni, dal canto suo, svolge un lavoro incredibile sul set per poi venir penalizzato in fase di mixaggio, laddove solo le chitarre e le linee vocali hanno ottenuto un meritato privilegio volumistico. Inesistente, come vuole la tradizione, il basso. Per fortuna, una sequela piuttosto consistente di pezzi dal valore insindacabile si erge in difesa di “Valley of the damned”: la splendida title-track, dalla sezione solistica rimaneggiata – e penalizzata – rispetto all’edizione demo, campeggia su tutte fiancheggiata dalla pur buona fast track “Black fire” e da “Black winter night”. Scontatissimi, purtroppo, i refrain: si cade sempre sui soliti toni vocali in innalzamento, si seguono i medesimi e deficitari clichès. Nulla di nuovo dal fronte occidentale, ma se volete andare sul sicuro senza rischiare acquisti azzardati, “Valley of the damned” farà certamente al vostro caso.