Credo che i Dismember siano riusciti ad andare oltre il recente “Where ironcrosses grow”, perfetto esercizio di (loro) stile ma in fondo solo un buon dischetto, suonato con coerenza e violenza, ma magari non con la necessaria ‘anima’. Non so se mi spiego, tant’è che “The God that never was” a tratti quella necessaria anima ce l’ha, e anche se sempre a tratti si sfiora il clamoroso auto-plagio, vedi un’ opener incredibilmente debitrice nei confronti del colosso “Dismembered”, il risultato finale è più che accettabile. “Like an ever-flowing stream” è il punto di riferimento principale: velocità, velocità, velocità, con qualche concessione ai rallentamenti in “Trail of the dead” e in altre tracce, come lo strumentale tributo agli Iron Maiden intitolato “Phantoms (of the Oath)”, o come le citazioni melodiche raffigurate in “Time heals nothing” dalle sei corde di Blomqvist e Persson. Estby va a diritto come un treno dall’ inizio alla fine, Karki (ci mancherebbe) è sempre lo stesso come non fossero passati quindici anni dal debut album, e “The God that never was” -riassumendo- non presenta particolari cali di tono. Cosa manca? Poco. Forse quell’ aria realmente malsana di cui appunto tre lustri fa erano intrisi album come questo, (ri)sentire “Skin her alive” per credere, o forse un po’ d’ anima in più, di feeling, di quella insana cattiveria che oggi per trovarla musicalmente bisogna sudare sette camicie. Comunque sia, ritengo questo platter superiore al precedente, a “Hate campaign” ma non a “Death Metal” del 1997. Tutto ciò che venne in precedenza è ovviamente superiore ai Dismember di oggi, non me ne vogliano gli accaniti fan della band, ma non c’è proprio paragone. Un piccolo appunto negativo: cose estremamente melodiche come il lead iniziale o il solo di “Where no ghost is holy”, in un album così volutamente ruvido, veloce e aggressivo, stuccano un pelino troppo…