Diabolical – A thousand Deaths

In Svezia circola una fastidiosissima epidemia. Più che altro, una strana epidemia. Strana perchè, nello stesso paese in cui gruppi come Entombed, At the Gates o Dissection hanno stravolto a lor piacimento il Metal estremo, oggi quasi nessuno sembra capace di proporre qualcosa di nuovo senza finire nel baratro della scontatezza. E sebbene il focolaio principale di quest’epidemia non sia stato individuato, è piuttosto evidente che, in un paese dove lo Stato – sovente – finanzia studi e da’ incentivi ai giovani per indirizzarli verso il mondo della musica, il rovescio della bilancia comporti che, se un numero elevato di formazioni riesce a giungere al debut album senza spendere cifre esagerate, vengano fuori flotte intere di gruppi di caratura medio-bassa ultraprodotti e, quindi, presto accompagnati da contratti d’ottima levatura. La situazione dei Diabolical è più o meno questa: incidono per Scarlet records (casa discografica italiana già nota per avere introdotto nel proprio rooster i riuniti Necrodeath), ottengono quindi una promozione più che ragguardevole, ma pur avendo denotato cenni di miglioramento rispetto al precedente – ed inconsistente – full lenght “Sinergy” mostrano di essere ancora in alto mare, per nulla destinati ad attraccare al porto delle formazioni in arrivo presso una destinazione che potremmo definire “maturità stilistica”. Perdonatemi questo giro di parole da libro di storia, ma ci voleva. “A thousand Deaths” mostra innanzitutto una promozione da urlo, che qualsiasi band giovane invidierebbe: ma del resto, con un Pelle Saether dietro alla consolle, c’è ben poco da meravigliarsi. La problematica di Saether, però, è sempre la solita: maltrattati i suoni del rullante, pur bassi nei volumi rispetto a piatti e cassa, e per nulla capaci di scandire i ritmi nelle parti più accelerate (ovvero in quasi due terzi abbondanti del lavoro). Si aggiungono a questo fattore nove brani inconsistenti, assai scorrevoli quanto noiosi e piatti nel corso degli ascolti successivi al primo. Nulla che non sia già stato detto e suonato a metà anni novanta dagli At the Gates di “Terminal spirit disease” e “Slaughter of the soul”, e nulla che non sia già stato ricopiato con efficacia da bands come Carnal forge, primi Soilwork o Callenish circle. In più, il bagaglio tecnico dei Diabolical – d’ottima levatura – va ad infrangersi rumorosamente contro una barriera invalicabile nata dalla loro stessa incapacità di comporre brani ascoltabili sulla loro intera lunghezza: “Dead angels choir” si apre con un riff che sarebbe risultato scontato anche se suonato sette od otto anni fa in Florida, per poi insistere sulla medesima falsariga dello Swedish Death più preconfezionato e banale; “An opposite law” mette il songwriting nel mano della teoria musicale, lasciando totalmente da parte le emozioni e l’aggressività che un ensemble del genere non dovrebbe affatto tralasciare in fase di stesura; e se “Children of the mushroom cloud” o la conclusiva “Profane murder” riescono finalmente a sollevare i Diabolical dal fondo del barile, oramai raschiato sino al limite consentito, l’ascolto completo del disco si rivela un’arma a doppio taglio capace di far rimpiangere l’acquisto anche agli ascoltatori più onnivori e voraci. Sconsigliato.