I Dark Age definiscono la propria musica come ‘Dark Metal: una risposta emozionale alle stranezze dei nostri tempi’. Toccante, non c’è che dire… La verità però è che questi cinque tedesconi suonano come un ipotetico side project con membri di Children Of Bodom (ancora loro?) ed In Flames in overdose di Valium, tanta è la fiacchezza della loro proposta. Non bastano infatti delle melodie vocali mielose e spompate in sostituzione dei neoclassicismi di Alexi Laiho per suonare originali: fra riffs svedesotti, deboli screaming e ritmiche moderate, la sostanza rimane inevitabilmente quella. La stessa discreta produzione e la nutrita schiera di guest vocalists (tra cui Johan Edlund dei Tiamat) sembrano solo specchietti per le allodole piazzati giusto per accalappiare lo sprovveduto metal kid di turno; sì, perchè, come prevedibile, su “Dark Age” troverete ben poco di più. Le canzoni suonano forzate e poco fluide con le loro secche alternanze tra strofe tirate e ritornelli ballabili, mentre gli episodi degni di minima nota si contano sulle dita di una mano (mutilata, tra l’altro, di qualche appendice) e, guarda caso, coincidono proprio con quelle tracce che si discostano di più da detta formula compositiva: “Pulse Of Minority” e “The Elegy Of A Forgotten Silence”, finalmente, presentano delle melodie decenti e delle strutture leggermente più curate ma, ciò nonostante, l’easy listening continua a farla inesorabilmente da padrone, facendo viaggiare il disco sulle ali di una seccante quanto inesorabile mediocrità. L’impressione è che dietro ai Dark Age ci sia la volontà di rendere ancor più commerciabile il suono dei Children Of Bodom condendo le proprie composizioni con una pretenziosa vena pessimistica da bambini disadattati. E tutto ciò, mi si consenta, fa proprio venire l’orchite… Ennesimo disco privo di qualsivoglia utilità.