Brain dead – Rage of thrash

Dopo l’arrivo di progetti interessantissimi come quelli di Birkenau ed Enemynside, ecco la volta dei Brain dead. La band, proveniente da Ivrea (TO) e formatasi due anni fa, punta il proprio songwriting su un thrash tutt’altro che monodirezionale: sono della partita, infatti, sonorità particolarmente dirette alla Bay Area americana, vaghi riferimenti slayerani (perlopiù avvertibili soltanto nelle fasi mid-tempos), e chiari spunti di attinenza al sound del southern thrash che, dalla svolta dei Pantera in poi, ha mosso in America (e non solo) un fenomeno eccellentemente accolto da critica ed audience. In effetti, sono palesi i contrasti fra lo stile chitarristico di Daniele Vitello e quanto proposto da axe-men come Luster o Darrell. La proposta, tuttavia, vede frapporsi fra loro momenti particolarmente mid-tempo based e sfuriate tipiche del genere, i primi totalmente appoggiati sull’ottimo effetto creato da un songwriting valido ma migliorabile, i secondi sporadici, poco frequenti e, purtroppo, non sempre ottimali in quanto alla presa diretta che il genere in sè suggerirebbe. Il quartetto, infatti, sembra pienamente a suo agio nelle parti più lente del lavoro, come lo dimostrano le ottime singole esecuzioni dei vari membri, a partire dall’efficace drumming di Daniel Giovannetto (magnifico l’uso del piatto “ride” e la padronanza sulle linee di doppio pedale/cassa), dalle linee di basso di Haron Zorzi, mai troppo distanti, stilisticamente parlando, da quelle del celebre Rex (Pantera – Down), ma soprattutto in riferimento alle splendide linee chitarristiche messe in atto da Daniele Vitello, propositore di trame intelligenti e varie, ma talvolta esentate da quelle accelerazioni in più che avrebbero reso l’intensità del disco più alta. Per quanto riguarda i pezzi, sono validissimi i primi tre (cito in particolare “Dreaming your fear” e l’opener, “All is…strange!”, quest’ultima graziata da passaggi su più spessori ritmici ben sistemati nei vari momenti che la song offre), mentre a partire da “My darkest mind” in poi, inesorabilmente, l’interesse che il disco emana cala: nella succitata song, infatti, troviamo una mediocre interpretazione del singer Felix Liuni, mai a suo agio nelle parti lente, ed autore di linee canore che, anche nelle altre song, non riescono mai a conferire al lavoro quel gradino qualitativo in più che porrebbe “Rage of thrash” su livelli ottimali; nelle restanti due tracce, invece, troviamo la scarsa “Kill for me” e la riempitiva nonchè strumentale “Course of the life”. Tuttavia, un lavoro d’ottimo livello, rovinato da un cantato spesso inefficace ed inadatto e da una produzione che manca di esaltare le ottime linee prodotte dalla sei corde di Daniel. Manca poco al grosso salto qualitativo. Complimenti.